«Può dirmi da dove eravate partiti, signore?»
«Dalla Groenlandia... Non so indicarle il nome della località. Si scrive con almeno venti lettere e per me è del tutto impronunciabile. Il dottor Hunnewell e io eravamo in missione per conto del nostro governo, e seguivamo lo spostamento degli iceberg nella Corrente della Groenlandia orientale. Contavamo di attraversare il canale di Danimarca, fare rifornimento a Reykjavik e tornare in Groenlandia su una rotta parallela, ottanta chilometri più a nord. Purtroppo abbiamo sbagliato i nostri piani, siamo rimasti senza carburante e siamo precipitati sulla costa. È tutto, a parte qualche particolare...» Pitt aveva mentito senza sapere esattamente il perché. Mio Dio, pensò, sta diventando un'abitudine.
«Dove siete precipitati, esattamente?»
«Come diavolo faccio a saperlo?» rispose bruscamente Pitt. «Proseguite per tre isolati dopo il pascolo delle vacche e svoltate a sinistra quando arrivate a Broadway. L'elicottero è parcheggiato fra la terza e la quarta onda. È dipinto di giallo, impossibile non vederlo.»
«La prego, signore, sia ragionevole...» Pitt notò con soddisfazione la vampata che aveva colorito la faccia del poliziotto. «Dobbiamo conoscere tutti i particolari per presentare un rapporto al nostro superiore.»
«E allora perché non la smettete di girare intorno all'argomento e non mi chiedete spiegazioni sulle ferite d'arma da fuoco del dottor Hunnewell?» L'espressione del poliziotto dalla carnagione scura si trasformò in uno sbadiglio soffocato. Pitt guardò il dottor Jonsson. «Non aveva detto che sono venuti appunto per questa ragione?»
«Io ho il dovere di collaborare con i tutori della legge.» Sembrava che Jonsson esitasse a parlare.
«Può spiegarci la ferita del suo compagno?» chiese l'agente dalle unghie sporche.
«Avevamo a bordo un fucile per la caccia agli orsi bianchi», disse Pitt. «Ha sparato accidentalmente quando siamo precipitati e la pallottola ha colpito il gomito del dottor Hunnewell.»
I due poliziotti islandesi parevano immuni al sarcasmo di Pitt. Stavano immobili a guardarlo con aria impaziente: probabilmente, pensò lui, si stanno chiedendo come potrebbero sopraffarmi se opponessi resistenza. Non dovette attendere a lungo.
«Mi dispiace, ma lei ci costringe a condurla in centrale per proseguire l'interrogatorio.»
«L'unico posto in cui mi condurrete è il consolato americano a Reykjavik. Non ho commesso reati contro il popolo islandese e non ho violato nessuna delle vostre leggi.»
«Conosco piuttosto bene le nostre leggi, maggiore Pitt. Non è divertente essere buttati giù dal letto a quest'ora per svolgere un'indagine. Le domande che dobbiamo rivolgerle sono necessarie, quindi dobbiamo condurla alla centrale in attesa di accertare che cosa è successo. Di là potrà chiamare il suo consolato.»
«Tutto a suo tempo, agente. Ora vi dispiacerebbe identificarvi?»
«Non capisco.» Il poliziotto fissò freddamente Pitt. «Perché dobbiamo identificarci? È evidente quello che siamo. Il dottor Jonsson può garantire per noi.» Non mostrò un tesserino e neppure il solito distintivo, ma soltanto una notevole irritazione.
«Non ci sono dubbi circa il vostro ruolo ufficiale, signori», intervenne Jonsson in tono quasi di scusa. «Comunque, di solito è il sergente Arnarson che fa il servizio di pattuglia nel nostro villaggio. Non mi pare di avervi mai visti da queste parti prima d'ora.»
«Arnarson è stato chiamato d'urgenza a Grindavik e ci ha chiesto di occuparci di questo caso in attesa del suo arrivo.»
«Siete stati trasferiti in questa zona?»
«No, eravamo di passaggio per andare a nord a prelevare un detenuto. Ci siamo fermati per salutare il sergente Arnarson e prendere un caffè con lui. Purtroppo, prima ancora che il caffè fosse pronto, ha ricevuto quasi contemporaneamente la sua telefonata, dottore, e quella da Grindavik.»
«E allora non sarebbe meglio trattenere il maggiore Pitt fino a che non tornerà il sergente?»
«No, non credo. Qui non possiamo concludere nulla.» Il poliziotto si rivolse a Pitt. «Mi scusi, maggiore. Non se la prenda con noi se - come dire? - la portiamo via.» Poi, a Jonsson: «Credo che sarebbe meglio se venisse anche lei dottore, nel caso le ferite del maggiore causassero qualche complicazione. È una semplice formalità».
Una formalità piuttosto strana, pensò Pitt, tenuto conto delle circostanze. Comunque aveva poco da scegliere. «E il dottor Hunnewell?» chiese.
«Chiederemo al sergente Arnarson di mandare a prenderlo con un furgone.»
Jonsson sorrise con atteggiamento un po' diffidente. «Scusatemi, signori, ma non ho ancora finito di medicare la ferita alla testa del maggiore. Devo mettergli altri due punti prima che possa partire. Prego, maggiore?» Si scostò e indicò a Pitt di tornare nell'ambulatorio, poi chiuse la porta.
«Credevo che avesse finito di macellarmi», commentò bonariamente Pitt.
«Quelli sono due impostori», mormorò Jonsson.
Pitt tacque. Non tradì la minima sorpresa quando si accostò alla porta, vi appoggiò l'orecchio e ascoltò. Quando sentì le voci nella stanza accanto, tornò verso Jonsson. «Ne è sicuro?»
«Sì. Il sergente Arnarson non fa servizio di pattuglia a Grindavik. E non beve mai caffè: è allergico, e quindi non lo tiene neppure in cucina.»
«Il sergente è alto un metro e settantacinque e pesa all'incirca settantacinque chili?»
«Certamente... è un vecchio amico e gli ho fatto varie visite mediche.» Negli occhi del dottore apparve un'espressione perplessa. «Come ha fatto a descrivere un uomo che non ha mai visto?»
«Quello dei due che ha parlato indossa l'uniforme di Arnarson. Se l'osserva bene, noterà i contorni dei galloni che sono stati tolti dalla manica.»
«Non capisco», sussurrò Jonsson. Era diventato pallidissimo. «Che cosa sta succedendo?»
«Non lo so. Sono morti sedici uomini, forse addirittura diciannove, e probabilmente i delitti continueranno. Temo che la vittima più recente sia il sergente Arnarson. Poi toccherà a lei e a me.»
Jonsson era allibito. Strinse i pugni per lo sbalordimento e la disperazione. «Mi sta dicendo che io dovrei morire solo perché ho visto due assassini e ho parlato con loro?»
«Dottore, temo che lei sia un testimone da eliminare perché è in grado di riconoscere le loro facce.»
«E lei, maggiore? Perché hanno ordito un piano così complesso per ucciderla?»
«Anche il dottor Hunnewell e io abbiamo visto qualcosa che non dovevamo vedere.»
Jonsson scrutò la faccia impassibile di Pitt. «Sarebbe impossibile ucciderci entrambi senza suscitare molto scalpore nel villaggio. L'Islanda è una piccola nazione. Un ricercato non andrebbe molto lontano e non riuscirebbe a nascondersi a lungo.»
«Quei due sono senza dubbio sicari professionisti», spiegò Pitt. «Qualcuno li paga, e li paga bene. Un'ora dopo averci uccisi, probabilmente brinderanno tranquillamente a bordo di un jet di linea diretto a Copenaghen, Londra o Montreal.»
«Mi sono sembrati piuttosto superficiali, come assassini di professione.»
«Possono permetterselo. Dove potremmo andare, noi due? La loro macchina e il camion di Mundsson sono fermi davanti alla casa... ci bloccherebbero senza fatica prima che potessimo aprire una porta.» Pitt indicò una finestra con un cenno del capo. «L'Islanda è un paese che non offre molti nascondigli. Non ci sono dieci alberi nel raggio di ottanta chilometri. L'ha detto lei... nessuno potrebbe andare molto lontano o nascondersi a lungo.»
Jonsson chinò la testa, poi accennò un sorriso. «Allora l'unica alternativa è batterci. Sarà difficile uccidere, per me, dopo aver passato trent'anni a tentare di salvare la vita agli altri.»
«Ha qualche arma da fuoco?»
Jonsson sospirò. «No, il mio passatempo preferito è la pesca, non la caccia. Le uniche cose che potrebbero essere classificate come armi sono i miei ferri chirurgici.»
Pitt andò a un armadietto d'acciaio e di vetro che conteneva un assortimento di strumenti e di medicinali, e aprì lo sportello. «Noi abbiamo un vantaggio», rifletté. «Quelli non sanno che abbiamo fiutato il loro piano. Quindi gli insegneremo un vecchio giochetto americano che si chiama 'appunta la coda all'asino'.»
Erano passati appena due minuti quando Jonsson aprì la porta dell'ambulatorio, rivelando Pitt che, seduto su uno sgabello, si premeva una benda contro la testa sanguinante. Jonsson fece un cenno all'uomo biondo, quello che parlava inglese.
«Può assistermi un momento? Purtroppo ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano.»
L'uomo inarcò un sopracciglio con aria interrogativa, poi scrollò le spalle e lanciò un'occhiata al compagno che era seduto con gli occhi socchiusi e, sicuro del fatto suo, pensava a chissà che cosa.
Per evitare d'insospettirlo, Jonsson lasciò la porta semiaperta, ma non tanto da consentire la visibilità di una buona parte dell'ambulatorio. «Se tiene la testa del maggiore un po' inclinata con tutte e due le mani, potrò finire il mio lavoro. Continua a muoversi e questo m'impedisce di applicare i punti come si deve.» Jonsson strizzò l'occhio, poi parlò in islandese: «Gli americani sono come i bambini. Non sopportano il dolore».
Il falso poliziotto rise e allungò al dottore una gomitata scherzosa. Quindi girò intorno a Pitt, si chinò e gli afferrò la testa, premendogli le mani sulle tempie. «Su, su, maggiore Pitt, pochi punti sono una cosa da niente. Che cosa farebbe se il dottore dovesse amputare...»
Tutto finì in meno di quattro secondi... e in silenzio. Con indifferenza noncurante, Pitt alzò di scatto le mani e afferrò l'uomo per i polsi. Per un attimo, il viso del falso poliziotto si contrasse per la sorpresa, poi per lo shock quando Jonsson gli premette contro la bocca un grosso tampone di garza e, nello stesso istante, gli piantò nel collo l'ago di una siringa. Lo shock lasciò il posto al terrore, e un gemito gli sfuggì dalla gola... un gemito che il suo compagno non poté sentire perché, in quel momento, Pitt imprecava a gran voce contro Jonsson, accusandolo di fargli troppo male nell'applicargli i punti. Al di sopra del tampone di garza, gli occhi si sfocarono. Con un movimento disperato, l'uomo cercò di buttarsi all'indietro, ma Pitt continuava a tenergli i polsi stretti in quella che pareva una morsa d'acciaio. Poi l'uomo roteò gli occhi e si accasciò inerte fra le braccia di Jonsson.
Pitt s'inginocchiò, prese la pistola d'ordinanza dalla fondina che il falso poliziotto portava alla cintura e si accostò alla porta senza far rumore. Puntò l'arma e, nello stesso istante, spalancò la porta. Per un secondo, l'uomo dagli occhiali restò immobile, sbalordito, poi alzò fulmineamente la mano verso la fondina.
«Fermo!» ordinò Pitt.
L'uomo ignorò l'ordine e uno sparo echeggiò nella piccola sala d'aspetto. A detta di molti, la mano è più svelta dell'occhio, ma sono in pochi a credere che sia più rapida di una pallottola. E la pistola schizzò via dalle dita del finto poliziotto quando la pallottola di Pitt si piantò nel calcio di legno e gli staccò il pollice. Pitt non aveva mai visto un'espressione stordita e sofferente come quella con cui il sicario rimase a fissare il moncherino insanguinato. Fece per abbassare la pistola, ma poi la rialzò e prese di nuovo la mira quando vide la faccia del suo avversario: la bocca contratta in una sottile linea bianca, un'espressione di odio furioso che traspariva attraverso le lenti degli occhiali.
«Sparami qui, maggiore, e subito.» L'uomo si batté sul petto la mano ferita.
«Bene, bene, allora parli la mia lingua. I miei complimenti. Non mi avevi lasciato capire che eri in grado di seguire la conversazione.»
«Sparami!» L'ordine parve echeggiare nella stanzetta e nelle orecchie di Pitt per un tempo interminabile.
«Perché tanta fretta? È probabile, comunque, che tu faccia davvero una brutta fine per aver assassinato il sergente Arnarson.» Pitt tirò indietro il percussore della pistola per sparare di nuovo. «Posso desumere che l'hai ammazzato tu, vero?»
«Sì, il sergente è morto. E adesso, ammazzami.» Gli occhi erano freddi e nel contempo supplichevoli.
«Mi sembri fin troppo ansioso di farti uccidere.»
Jonsson si affacciò alla porta, ma non disse nulla. Era del tutto disorientato e si sforzava di prendere atto di una nuova serie di circostanze, un vero e proprio capovolgimento dei valori su cui si era basata la sua vita. Era medico, e non poteva restare inerte mentre un ferito perdeva sangue.
«Lasci che gli curi la mano», propose.
«Stia dietro di me e non si muova», gli intimò Pitt. «Un uomo che vuole morire è più pericoloso di un ratto impaurito.»
«Ma, mio Dio, non può star lì a godersi la scena!» protestò Jonsson.
Pitt non gli badò. «Bene, quattr'occhi, farò un patto con te. Se mi dici il nome dell'uomo che ti paga, la prossima pallottola te la pianterò nel cuore. Non soffrirai.»
Gli occhi dietro le lenti non si staccarono dalla faccia di Pitt. L'uomo scosse la testa, in silenzio.
«Non siamo in guerra, amico. Non ti chiedo di tradire il tuo Paese. La devozione a un padrone non vale certo la tua vita.»
«Mi ucciderai, maggiore. Ti costringerò a uccidermi.» L'uomo avanzò di un passo verso Pitt.
«Devo riconoscere che sei ostinato», sibilò Pitt. Premette il grilletto e la pistola sparò di nuovo. La pallottola calibro 38 penetrò nella gamba sinistra dello sconosciuto, poco sopra il ginocchio.
Pitt aveva visto raramente una simile espressione d'incredulità su un viso. Il sicario si accasciò lentamente sul pavimento stringendo con la mano sinistra la gamba ferita e cercando di arrestare il flusso del sangue, mentre la mano destra stava immobile sul pavimento di piastrelle, circondata da una pozza di color rosso vivo che si stava allargando.
«Sembra che il nostro amico non abbia niente da dire», commentò Pitt, e alzò di nuovo il percussore.
«La prego, non lo uccida», implorò Jonsson. «Non si carichi un simile peso sulla coscienza. La prego, maggiore, dia la rivoltella a me. Quell'uomo non può fare altri danni.»
Pitt esitò per qualche istante, diviso fra la compassione e l'impulso di vendicarsi. Poi, lentamente, passò l'arma a Jonsson e annuì. Il dottore la prese e posò una mano sulla spalla di Pitt come se fosse mosso da una comprensione segreta.
«Mi addolora constatare che i miei compatrioti hanno causato angoscia e sofferenze a tante persone», disse con voce stanca. «Mi prenderò cura di questi due e contatterò immediatamente le autorità. Lei vada con Mundsson a Reykjavik e si riposi. Ha una brutta ferita alla testa, ma non sarà una cosa grave se si comporterà con prudenza. Resti a letto almeno per due giorni. È un ordine del medico.»
«C'è solo un piccolo ostacolo.» Con un sorriso ironico, Pitt indicò l'ingresso. «Aveva ragione al cento per cento quando ha detto che ci sarebbe stata grande agitazione nel villaggio.» Accennò alla strada dove almeno venti persone s'erano assiepate in silenzio. Avevano armi da fuoco d'ogni genere, dai fucili con cannocchiale telescopico alle doppiette di piccolo calibro, e le puntavano verso la porta della casetta di Jonsson. Mundsson teneva il fucile appoggiato nell'incavo del braccio, e un piede ben piantato sul secondo gradino, mentre suo figlio Bjarni stava un po' in disparte e imbracciava un vecchio Mauser.
Pitt tenne le mani bene in vista. «Credo, dottore, che sia venuto il momento di presentarmi. Questi suoi concittadini non sanno ancora chi sono i buoni e chi i cattivi.»
Jonsson gli passò accanto e parlò in islandese per qualche minuto. Quando ebbe terminato, le armi incominciarono ad abbassarsi a una a una, e molti degli uomini si avviarono verso le rispettive case, mentre alcuni indugiavano sulla strada in attesa di ulteriori sviluppi. Jonsson tese la mano e Pitt gliela strinse.
«Mi auguro che riesca a trovare il responsabile di tanti omicidi insensati», disse il medico. «Se dovesse incontrarlo, ecco, mi preoccupo per lei. Non è un assassino: se lo fosse, a quest'ora ci sarebbero due morti in casa mia. Temo che il suo rispetto per la vita le causerà gravi problemi. La supplico, amico mio, non esiti quando verrà il momento. E che Dio e la fortuna l'accompagnino.»
Pitt gli rivolse un ultimo saluto, si voltò e scese i gradini. Bjarni aprì la portiera del Land Rover. Il sedile era solido, lo schienale rigido, ma a Pitt non importava nulla: era completamente intorpidito. Restò immobile mentre Mundsson avviava il motore, innestava la marcia e guidava il fuoristrada in direzione di Reykjavik. Sarebbe sprofondato nel sonno, ma nella sua mente una scintilla rifiutava di spegnersi. Qualcosa che aveva visto, qualcosa che aveva sentito dire, qualcosa d'indistinguibile non abbandonava la sua mente e non gli permetteva di riposare. Era come una canzone che non ricordava, per quanto avesse il titolo sulla punta della lingua. Alla fine si arrese e si assopì.
7.
Tante, tante volte Pitt si rialzò nella risacca e salì sulla spiaggia, barcollando e trascinando Hunnewell. Tante, tante volte fasciò il braccio dell'oceanografo e ripiombò nella tenebra. Disperatamente, ogni volta che l'evento gli passava nella mente come uno spezzone di film, cercò di aggrapparsi a quei fuggevoli momenti di lucidità, ma infine dovette arrendersi: niente può cambiare il passato. Era un incubo, pensò vagamente, mentre cercava di fuggire dalla spiaggia insanguinata. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e aprì gli occhi. Si aspettava di vedere una camera da letto vuota. La camera da letto c'era, ma non era vuota affatto.
«Buongiorno, Dirk», disse una voce sommessa. «Cominciavo a temere che non ti saresti più svegliato.»
Pitt alzò gli occhi e incontrò i sorridenti occhi castani di una ragazza alta e snella seduta su una sedia ai piedi del letto.
«L'ultima gallinella che è saltata sul davanzale della mia finestra non ti somigliava affatto», mormorò lui.
La ragazza rise, e risero anche i suoi occhi. Si passò dietro gli orecchi le lunghe ciocche di capelli che avevano lo stesso colore del manto di un cerbiatto. Poi si alzò e girò intorno al letto con un movimento simile a quello del mercurio che scorre all'interno di un tubo di vetro tortuoso. Indossava un abito di lana rossa che aderiva alla perfezione alla figura a clessidra e lasciava scoperte un paio di ginocchia ben tornite. Non era né una bellezza esotica né una bomba sexy, ma era carina, maledettamente carina, e di certo erano pochi gli uomini che sfuggivano all'incantesimo lanciato da quel fascino invitante.
Gli toccò la benda che gli fasciava la testa e il sorriso lasciò il posto a una premura degna di Florence Nightingale. «Hai passato brutti momenti. Soffri molto?»
«Solo quando sto diritto sulla testa.»
Pitt conosceva la ragione di quell'ansia: sapeva chi era la ragazza. Si chiamava Tidi Royal e non bisognava lasciarsi ingannare dalla sua personalità così vivace e allegra. Tidi era capace di battere centoventi parole al minuto per otto ore consecutive senza lasciarsi sfuggire un solo sbadiglio, e di stenografare ancora più in fretta. Era quella la ragione principale per cui l'ammiraglio Sandecker l'aveva assunta come segretaria privata... o almeno così affermava in tono virtuoso.
Pitt si sollevò a sedere e sbirciò sotto le coperte per accertare se aveva indosso qualcosa. Infatti, portava un paio di boxer. «Se sei qui, vuol dire che l'ammiraglio è poco lontano.»
«Un quarto d'ora dopo aver ricevuto il tuo messaggio tramite la radio del consolato ci siamo imbarcati su un jet diretto in Islanda. È molto scosso dalla morte del dottor Hunnewell: è convinto di esserne il responsabile.»
«Dovrà mettersi in fila», sospirò Pitt. «Il primo sono io.»
«Infatti ha detto che l'avresti pensata così.» Tidi cercava di parlare in tono spensierato, ma non ci riusciva. «T'immagina in preda ai rimorsi di coscienza mentre cerchi di cambiare i fatti nella tua mente.»
«Le percezioni extrasensoriali dell'ammiraglio stanno facendo gli straordinari.»
«Oh, no», ribatté la ragazza. «Non mi riferivo all'ammiraglio.»
Pitt aggrottò la fronte con aria interrogativa.
«Un certo dottor Jonsson ha chiamato da un piccolo villaggio del nord e ha fornito al consolato istruzioni molto precise circa la tua convalescenza.»
«Convalescenza un corno!» scattò Pitt. «A proposito, che diavolo ci fai nella mia camera da letto?»
Lei lo guardò con aria offesa. «Mi sono offerta volontaria.»
«Volontaria?»
«Sì, per assisterti mentre dormivi. Il dottor Jonsson ha insistito. Da quando hai chiuso gli occhi ieri sera c'è sempre stato qualcuno del consolato a vegliarti.»
«Che ore sono?»
«Le dieci passate da poco... le dieci del mattino, devo aggiungere.»
«Bene. Ho sprecato quasi quattordici ore. Che fine hanno fatto i miei vestiti?»
«Li hanno buttati nella spazzatura, credo. Non servivano più neppure come stracci. Dovrai farti prestare qualcosa da mettere addosso. Puoi chiederlo a qualcuno del consolato.»
«In questo caso, perché non mi procuri qualcosa di casual mentre mi faccio una doccia e la barba?» Pitt le lanciò un'occhiata e soggiunse: «E adesso, tesoro, girati contro il muro».
Tidi continuò a restare rivolta verso il letto. «Mi sono sempre domandata che impressione mi farebbe vederti al mattino, appena alzato.»
Pitt alzò le spalle e buttò via le coperte. Stava per alzarsi in piedi quando accaddero tre cose: i suoi occhi videro all'improvviso tre Tidi, la stanza vacillò come se fosse di gomma, e la sua testa incominciò a dolere atrocemente.
Tidi si avvicinò prontamente e gli afferrò il braccio destro. Aveva di nuovo l'aria sollecita di Florence Nightingale. «Ti prego, Dirk! Non stai ancora abbastanza bene per reggerti in piedi.»
«Niente, non è niente. Mi sono alzato troppo in fretta.» Si rialzò e vacillò fra le braccia della ragazza. «Saresti una pessima infermiera, Tidi. Prendi troppo a cuore i tuoi pazienti.»
Le restò aggrappato per qualche istante, fino a che la figura triplice non ridiventò una sola e la camera da letto smise di ondeggiare. Il dolore alla testa, tuttavia, rifiutava di attenuarsi.
«Sei l'unico paziente che prendo a cuore, Dirk.» Lei lo sostenne e non cercò di ritirare le braccia. «Ma sembra che tu non te ne accorga. Saresti capace di starmi vicino in un ascensore vuoto senza neppure riconoscermi. Ci sono momenti in cui mi domando se sai che esisto.»
«Oh, so benissimo che esisti.» Pitt si svincolò e si avviò a passo lento verso il bagno, evitando di guardarla in faccia. «Sei alta un metro e settanta, pesi sessanta chili, circonferenza dei fianchi novanta centimetri, meno di sessanta centimetri di giro vita e novanta centimetri di seno. Tutto sommato, una figura degna del paginone centrale di Playboy. In più, capelli castani che incorniciano una faccia vivace, scintillanti occhi pure castani, un nasetto impertinente, una bocca perfetta fiancheggiata da due fossette che appaiono quando sorridi. Oh, sì, quasi lo dimenticavo. Due nei dietro l'orecchio sinistro. E in questo momento il tuo cuore batte circa centocinque volte al minuto.»
Tidi rimase immobile come la sbalordita vincitrice di un quiz televisivo che non sa che cosa dire. Alzò la mano e si toccò i nei. «Uau! Non riesco a credere a quello che mi hai detto. È un sogno. Ti piaccio... T'interesso veramente.»
«Adesso non esagerare.» Pitt esitò sulla soglia del bagno e si girò a guardarla. «Mi sento attratto da te, come ogni uomo può sentirsi attratto da una bella ragazza, ma non sono innamorato.»
«Non... non mi hai mai lasciato capire nulla. Non hai mai neppure chiesto di uscire con te.»
«Scusami, Tidi, ma sei la segretaria privata dell'ammiraglio e io mi guardo bene dal darmi da fare... nelle sue vicinanze.» Pitt si appoggiò allo stipite per reggersi meglio. «Lo rispetto, e per me è molto più di un amico o di un superiore. Non voglio causare complicazioni, e alle sue spalle, per di più.»
«Capisco», mormorò Tidi. «Però non ti ho mai visto nei panni dell'eroe modesto che sacrifica l'eroina a una macchina per scrivere.»
«E io non ti vedo come la vergine respinta che si chiude in convento.»
«Dobbiamo proprio buttarla sulle cattiverie?»
«No», ammise Pitt. «Su, fai la brava e procurami qualcosa da mettere addosso. Vediamo se hai osservato le mie misure con la stessa precisione con cui io osservo le tue.»
Tidi non disse nulla. Restò immobile, desolata e incuriosita. Infine scosse la testa in uno scatto d'irritazione molto femminile e se ne andò.
Due ore dopo, abbigliato di un paio di pantaloni e di una camicia sportiva che gli andavano alla perfezione, Pitt sedette di fronte all'ammiraglio James Sandecker. L'ammiraglio sembrava stanco e invecchiato. I capelli rossi erano spettinati, e la barba lunga sul mento e sulle guance indicava che non si era rasato da almeno due giorni. Teneva fra le dita della destra uno dei suoi sigari enormi. Per un momento fissò la lunga sagoma cilindrica, quindi, senza accenderla, la posò sul portacenere. Borbottò qualcosa per spiegare che era felice di vedere Pitt vivo e praticamente intero. Poi lo scrutò attento, con gli occhi arrossati.
«E adesso che abbiamo sbrigato i preliminari, Dirk, sentiamo la sua versione.»
Pitt non obbedì e disse invece: «Ho appena passato un'ora a scrivere un rapporto dettagliato su ciò che è successo dal momento in cui Hunnewell e io siamo stati portati dall'eliporto della NUMA a Dulles fino a quello in cui l'agricoltore e sui figlio mi hanno accompagnato al consolato. Ho incluso anche le mie opinioni e osservazioni personali. Dato che la conosco bene, ammiraglio, immagino che l'avrà letto almeno due volte. Non ho altro da aggiungere. L'unica cosa che posso fare è rispondere alle sue domande».
L'espressione di Sandecker sembrava indicare un certo interesse o addirittura un'aperta curiosità per il comportamento indisciplinato di Pitt. Si alzò, si erse in tutto il suo metro e sessantasette, rivelando un abito blu che aveva bisogno urgente di una stiratura, e squadrò Pitt. Era la sua tattica preferita quando stava per attaccare una predica.
«Mi è bastata una sola lettura, maggiore.» Questa volta non lo chiamò Dirk. «E quando vorrò sentire commenti sarcastici, mi rivolgerò a qualche comico televisivo. Mi rendo conto che lei si è trovato alle prese con la Guardia Costiera e con i russi, è stato a gelarsi il didietro su un iceberg per vedere un mucchio di cadaveri inceneriti, si è fatto sparare addosso, è precipitato nell'Atlantico, si è visto morire un uomo fra le braccia, e tutto a partire dal momento in cui l'ho richiamata da quella bella spiaggia californiana appena settantadue ore fa. Ma questo non le dà il diritto di trattare a muso duro un suo superiore.»
«Le chiedo scusa per la mancanza di rispetto, signore.» Il tono non era in armonia con le parole. «Se le sembro un po' seccato è semplicemente perché sento puzza d'imbroglio. Ho la netta impressione che lei mi abbia buttato in un labirinto senza neppure una cartina stradale.»
«E allora?» Le folte sopracciglia rosse dell'ammiraglio si alzarono di mezzo centimetro.
«Tanto per cominciare, Hunnewell e io abbiamo pattinato su un ghiaccio molto sottile quando abbiamo raggirato la Guardia Costiera per usare il migliore dei suoi cutter come base per i rifornimenti. O almeno, io lo credevo. Hunnewell era a conoscenza dell'inghippo fin dall'inizio. Ero persuaso che saremmo finiti al fresco quando il comandante Koski ha chiesto al quartier generale della Guardia Costiera, a Washington, la conferma della nostra presenza. Ho osservato Hunnewell: continuava a esaminare le sue carte come se non fosse successo niente. Non gli tremava la mano, non sudava. Era assolutamente tranquillo, perché sapeva che lei aveva già sistemato tutto prima della nostra partenza da Dulles.»
«Non è esatto.» Sandecker riprese il sigaro, l'accese e lanciò un'occhiata a Pitt. «Il comandante stava ispezionando una stazione per l'osservazione degli uragani in Florida. E voi stavate già sorvolando la Nuova Scozia prima che potessi mettermi in contatto con lui.» Sbuffò verso il soffitto un'enorme nuvola di fumo. «Continui, prego.»
Pitt si riassestò sulla sedia. «In un iceberg viene scoperta la sagoma quasi indistinguibile di una nave. La Guardia Costiera non ha la più pallida idea di dove sia registrata. Ma, dopo quattro giorni, nessuno ha avviato un'indagine. Il Catawaba è a poche ore di navigazione, tuttavia non viene informato dell'avvistamento. Perché? Perché qualcuno molto importante e autorevole ha ordinato 'giù le mani', ecco perché.»
Sandecker giocherellò con il sigaro. «Devo dedurre che lei sa di che cosa sta parlando, maggiore?»
«No, diavolo... signore», rispose Pitt. «Sto tirando a indovinare. Ma Hunnewell e lei non eravate costretti a fare come me. Non nutrivate il minimo dubbio che quello fosse il relitto del Lax, una nave data per dispersa da più di un anno. Avevate la prova inconfutabile. Non so dove l'abbiate trovata, ma l'avevate.» Gli occhi verdi di Pitt sfolgoravano. «A questo punto, però, la mia sfera di cristallo si annebbia. Io ero sorpreso, ma Hunnewell era letteralmente sbalordito quando abbiamo scoperto che il Lax era andato in fumo. Questo elemento non era previsto nel copione, vero, ammiraglio? E così tutto quanto, incluso il suo piano così ingegnoso, ha cominciato a sbriciolarsi. Lei non aveva previsto che si sarebbe ritorto contro di voi, a causa di qualcuno dotato di risorse mai prese in considerazione da lei o dagli altri enti che collaborano con il governo... Quindi avete perso il controllo della situazione. Persino i russi sono stati fuorviati. Abbiamo di fronte una mente molto acuta, ammiraglio. E il messaggio, per me, è scritto in lettere al neon: quell'individuo non gioca per vincere un gelato o una torta. Ammazza la gente come un disinfestatore ammazza le termiti. A quanto pare, il gioco riguarda lo zirconio. Ma io non la bevo. C'è chi sarebbe disposto a uccidere una o due persone per una fortuna, ma non si dedicherebbe allo sterminio all'ingrosso. Hunnewell era suo amico da molti anni, ammiraglio, mentre io l'ho conosciuto solo per pochi giorni, e poi l'ho perso. Era affidato alla mia responsabilità, e io ho fallito. Il contributo che aveva dato alla società era molto superiore a quello che potrei dare io. Sarebbe stato meglio che fossi morto al suo posto.»
Sandecker non tradì la minima emozione. Senza staccare gli occhi da Pitt, continuò a tamburellare con la mano destra sul piano di vetro. Poi si alzò, girò intorno alla scrivania e posò le mani sulle spalle di Pitt.
«Fesserie!» dichiarò, senza alzare la voce. «È stato un miracolo che ce l'abbiate fatta ad arrivare a riva tutti e due. In tutto il mondo non esiste un allibratore disposto ad accettare scommesse sulla possibilità che un elicottero disarmato riesca a far precipitare un aereo con un tiratore scelto. La colpa è mia. Avevo gli indizi di quello che stava per accadere, ma non sono stato abbastanza sveglio per interpretarli. Non le avevo detto la verità sull'azione perché non era necessario: era l'uomo migliore cui potessi rivolgermi per un difficile ruolo di autista. Non appena avesse portato Hunnewell qui a Reykjavik, l'avrei caricato sul primo volo per la California.» S'interruppe per dare un'occhiata all'orologio. «C'è un jet da ricognizione dell'Aeronautica militare che parte per Tyler Field, nel New Jersey. Fra un'ora e sei minuti. E, quando arriverà, potrà prendere una coincidenza per la Costa occidentale.»
«No, grazie, ammiraglio.» Pitt si alzò, andò alla finestra e guardò i tetti aguzzi e soleggiati della città. «Ho sentito dire che le islandesi sono molto belle. Mi piacerebbe controllare con i miei occhi.»
«Guardi che potrei ordinarle di partire...»
«Inutile, signore. Capisco che cosa sta cercando di fare e le sono grato. Il primo attentato contro Hunnewell e me è riuscito solo a metà. Il secondo è stato più elaborato e abile, e riguardava me solo. Il terzo dovrebbe essere un capolavoro. Vorrei restare per vedere come l'organizzeranno.»
«Mi dispiace, Dirk.» Sandecker era tornato a termini più amichevoli e meno ufficiali. «Non ho intenzione di gettar via la sua vita, e di trovarmi ad assistere alla sua sepoltura. Piuttosto la deferisco a una corte marziale per distruzione volontaria di proprietà del governo.»
Pitt sorrise. «Volevo appunto parlare dei regolamenti di servizio, ammiraglio.» Si avvicinò alla scrivania. «Durante l'ultimo anno e mezzo ho obbedito a tutte le direttive provenienti dal suo ufficio. Non le ho mai discusse. Ma questo è il momento giusto per mettere in chiaro un paio di cose. Se fosse possibile - e non lo è - spedirmi davanti alla corte marziale, non credo che quelli dell'Aeronautica militare manderebbero giù il rospo di vedere un loro ufficiale giudicato da un tribunale della Marina. Inoltre, ammiraglio, vorrei farle notare che la NUMA non è il ponte di comando dell'ammiraglia della flotta. Perciò lei non è il mio comandante... è soltanto il mio principale, né più, né meno. Se la mia insubordinazione urta i suoi nervi e le tradizioni della Marina, be', allora mi licenzi. Ecco come stanno le cose, ammiraglio, e lo sappiamo bene tutti e due.»
Sandecker non fece commenti, ma i suoi occhi brillavano, divertiti. Poi rovesciò la testa all'indietro e scoppiò a ridere, una risata profonda e sonante che riempì la stanza. «Per Dio! Se esiste qualcosa di peggio di Dirk Pitt, spero che sia contagiato dalla sifilide e marcisca all'inferno.» Tornò dietro la scrivania e sedette, intrecciando le mani dietro la testa. «Okay, Dirk. La metterò al corrente, ma dovrà stare al gioco senza assumere iniziative autonome. D'accordo?»
«Il capo è lei.»
Sandecker trasalì. «Bene, per rispetto verso ñ suo... ehm... il suo superiore, mi racconti tutta la storia dall'inizio. Ho letto il suo rapporto. Adesso voglio sentirlo dalla sua viva voce.» Fissò Pitt con un'aria che non ammetteva discussioni. «Vogliamo cominciare?»
Sandecker ascoltò il racconto di Pitt poi chiese: «'Che Dio ti salvi'... Ha detto proprio così?»
«Già. E poi è morto. Avevo sperato che Hunnewell mi fornisse un indizio circa l'ubicazione del Lax fra il momento in cui era scomparso e quello in cui era finito incastrato nell'iceberg: ma non mi ha detto niente, a parte qualche notizia su Kristjan Fyrie e una lezione sullo zirconio.»
«Era quanto gli era stato detto di fare. Non volevo coinvolgerla.»
«Questo è successo due giorni fa. Adesso sono coinvolto fino al collo.» Pitt si chinò verso l'ammiraglio. «Fuori la verità, vecchio volpone. Che diavolo sta succedendo?»
Sandecker sogghignò. «Per il suo bene, lo considero un complimento.» Aprì uno dei cassetti inferiori della scrivania e vi appoggiò i piedi. «Spero che sappia in quale situazione sta andando a cacciarsi.»
«Non ne ho la più lontana idea, ma me lo dica comunque.»
«Sta bene.» Sandecker si appoggiò alla spalliera della poltroncina girevole e lanciò vari sbuffi di fumo dal sigaro. «Ecco che cos'è successo, per quel poco che si sa... Mancano troppi pezzi, e non possiamo farci che un quadro molto parziale della situazione. Circa un anno e mezzo fa, gli scienziati di Fyrie progettarono e costruirono una sonda nucleare subacquea capace d'identificare sul fondo oceanico dai quindici ai venti elementi minerali diversi. La sonda funziona esponendo brevemente gli elementi metallici ai neutroni emessi da una sostanza prodotta in laboratorio e chiamata celtinio-279. Attivati dai neutroni, gli elementi sul fondale irradiavano raggi gamma, che venivano analizzati e contati da un minuscolo detector installato sulla sonda. Durante i collaudi al largo dell'Islanda, la sonda aveva scoperto e misurato campioni minerali di manganese, oro, nichelio, titanio e zirconio... quest'ultimo in quantitativi enormi, inauditi.»
«Credo di aver capito. Senza la sonda, lo zirconio sarebbe irreperibile», rifletté Pitt. «Quindi ciò che interessa non sono gli elementi rari: è proprio la sonda.»
«Sì, la sonda rivela un territorio ancora inesplorato per le attività minerarie sottomarine. Chi la possiede non diventerà padrone del mondo, questo è ovvio, eppure potrebbe causare una ridistribuzione degli imperi finanziari privati e modificare radicalmente l'economia di un Paese il cui zoccolo continentale contenesse ricchi giacimenti di minerali.»
Pitt rimase in silenzio per un momento. «Dio mio, ma questo può giustificare tanti delitti?»
Sandecker esitò. «Dipende dal grado di avidità. Ci sono uomini che non ucciderebbero per tutto l'oro del mondo, e altri che non esiterebbero a tagliare la gola a chiunque per un tozzo di pane.»
«A Washington lei mi disse che Fyrie e il suo gruppo di scienziati erano diretti negli Stati Uniti per intavolare negoziati con alcuni funzionari del ministero della Difesa. Immagino che si trattasse di una bugia fatta e finita.»
Sandecker sorrise. «Sì... Be', forse è meglio dire che non era tutta la verità. Fyrie doveva incontrarsi con il presidente e offrirgli la sonda.» Fissò Pitt, quindi aggiunse, in tono più fermo: «Ero stato il primo a essere informato da Fyrie che gli esperimenti con la sonda avevano avuto successo. Non so che cosa le abbia raccontato Hunnewell sul conto di Fyrie, ma le assicuro che era un uomo teso verso il futuro e il progresso, un uomo mite che si sarebbe guardato dal calpestare un fiore o una formica. Era consapevole che la sonda avrebbe arrecato vantaggi immensi all'umanità; ma sapeva anche che individui privi di scrupoli sarebbero stati disposti a tutto, pur di poterla sfruttare. Perciò aveva deciso di consegnarla al Paese che ne avrebbe fatto l'uso migliore... Insomma, un sacco di nobili fesserie, se proprio vuole sapere che ne penso. Tuttavia bisogna riconoscere i meriti degli spiriti eletti della Terra: fanno tutto il possibile per aiutare la marmaglia ingrata». Sandecker assunse un'espressione di rammarico. «È una vera vergogna. Se Kristjan Fyrie fosse stato egoista e corrotto, probabilmente sarebbe ancora vivo.»
Pitt sogghignò. Era noto a tutti che l'ammiraglio Sandecker, nonostante il suo aspetto esteriore, sotto sotto era un filantropo e raramente nascondeva l'odio e il disgusto per gli industriali animati da un'avidità eccessiva... una caratteristica che non faceva di lui uno degli ospiti più richiesti ai pranzi dell'alta società.
«Non è possibile che gli ingegneri americani realizzino una sonda?» chiese Pitt.
«Sì, e infatti ne abbiamo già una. Però in confronto a quella di Fyrie funziona con l'efficienza di una bicicletta rispetto a una macchina sportiva. I suoi scienziati avevano realizzato una sonda in anticipo di dieci anni su tutto ciò che attualmente stiamo sviluppando noi e i russi.»
«Ha idea di chi possa averla rubata?»
Sandecker scosse la testa. «No. È stata un'operazione finanziata con generosità, questo è ovvio. A parte ciò, stiamo giocando a moscacieca in una palude.»
«Un Paese straniero potrebbe avere le risorse finanziarie per...»
«Se lo scordi», l'interruppe Sandecker. «La National Intelligence Agency è assolutamente sicura che nessun governo straniero è coinvolto nella faccenda. Persino i cinesi ci penserebbero due volte prima di uccidere due dozzine di persone per impadronirsi di uno strumento scientifico innocuo. No, è di certo un'organizzazione privata. Anche se non siamo in grado d'immaginare quale sia il suo movente, a parte il guadagno finanziario.»
«D'accordo. Ammettiamo che l'organizzazione misteriosa abbia in mano la sonda e scopra un tesoro sul fondo marino. In che modo potrebbero farlo arrivare in superficie?»
«Non possono farlo», rispose Sandecker, «a meno che non dispongano di attrezzature tecnologiche avanzatissime.»
«C'è qualcosa che mi sfugge. Se hanno la sonda da più di un anno, quale uso ne hanno fatto?»
«Oh, se è per questo l'hanno usata, eccome», esclamò Sandecker, scuro in volto. «Hanno esplorato ogni metro quadrato dello zoccolo continentale sulla costa atlantica americana, da nord a sud. E per farlo si sono serviti del Lax.»
Pitt lo fissò, incuriosito. «Il Lax? Non la seguo.»
Sandecker fece cadere la cenere del sigaro nel cestino. «Ricorda il dottor Len Matajic e il suo assistente, Jack O'Riley?»
Pitt aggrottò la fronte. «Ho lanciato loro i rifornimenti tre mesi fa, quando erano accampati sulla banchisa della baia di Baffin. Il dottor Matajic stava studiando le correnti a una profondità superiore ai tremila metri, e questo per trovare conferme a una teoria, elaborata da lui stesso, secondo la quale uno strato profondo di acqua tiepida avrebbe la capacità potenziale di sciogliere i ghiacci del Polo, purché fosse possibile deviarla verso l'alto anche nella misura dell'uno per cento.»
«E che altro ha saputo da loro?»
Pitt alzò le spalle. «Sono partito per il progetto Pacific Oceanlab in California non appena hanno incominciato a organizzarsi. Perché lo domanda a me? È stato lei a pianificare e coordinare la loro spedizione.»
«Sì, ho pianificato la spedizione», confermò Sandecker. Si premette i pugni contro gli occhi, quindi intrecciò le dita. «Matajic e O'Riley sono morti. L'aereo che li riportava a casa è precipitato in mare, e non è mai stato ritrovato.»
«Strano, non ne ho saputo niente. Deve essere successo poco tempo fa.»
Sandecker riaccese il sigaro. «Per essere esatti, è accaduto un mese e un giorno fa.»
Pitt lo fissò. «Perché tanta segretezza? I giornali e la televisione non ne hanno parlato. E io, come direttore dei Progetti Speciali, avrei dovuto essere uno dei primi a venirne informato.»
«Oltre a me c'è solo un'altra persona che sa della morte dei due scienziati: l'operatore radio che ha ricevuto il loro ultimo messaggio. Non ho dato l'annuncio pubblicamente perché ho intenzione di esumarli dalla loro tomba oceanica.»
«Mi scusi, ammiraglio», lo interruppe Pitt, «ma ancora una volta non riesco a seguirla.»
«Mi spiegherò meglio», disse Sandecker con voce cupa. «Cinque settimane fa ho ricevuto una comunicazione radio da Matajic. Sembra che O'Riley, mentre era in esplorazione, avesse avvistato un peschereccio ormeggiato all'estremità settentrionale della banchisa. È tornato alla base e l'ha riferito a Matajic. Così sono andati insieme a fare una visita amichevole ai pescatori, per sapere se avevano bisogno di assistenza. Erano tipi strani, secondo Matajic. La nave batteva bandiera islandese, ma gran parte dell'equipaggio era formata da arabi, mentre gli altri provenivano da almeno sei Paesi diversi, inclusi gli Stati Uniti. Sembra che si fosse bruciato un cuscinetto a sfera del loro motore diesel. Invece di andare alla deriva mentre venivano effettuate le riparazioni, avevano deciso di ormeggiare accanto alla banchisa per consentire all'equipaggio di sgranchirsi le gambe.»
«In tutto questo non c'è niente di sospetto», commentò Pitt.
«Il comandante e l'equipaggio hanno invitato Matajic e O'Riley a cena», continuò Sandecker. «Sul momento, è sembrato un semplice gesto di cortesia. Più tardi è stato interpretato come un ovvio tentativo di evitare sospetti. E per pura coincidenza si è rivelato una specie di boomerang.»
«Quindi anche i nostri due scienziati sono finiti nell'elenco di coloro che hanno visto qualcosa che non avrebbero dovuto vedere.»
«Ha indovinato. Qualche anno prima, Kristjan Fyrie aveva invitato il dottor Hunnewell e il dottor Matajic a bordo del suo yacht. L'esterno del peschereccio era stato modificato, ma nel momento in cui Matajic ha messo piede nel salone, ha riconosciuto il Lax. Se non avesse detto niente, oggi O'Riley e lui sarebbero ancora vivi. Purtroppo, invece, ha chiesto candidamente perché il lussuoso Lax era stato trasformato in un comune peschereccio. Era una domanda ingenua, ma ha avuto conseguenze tragiche.»
«Avrebbero potuto assassinarli allora, zavorrare i cadaveri e buttarli in mare. Nessuno avrebbe mai saputo niente.»
«Una nave che cola a picco con tutti quelli che sono a bordo è una faccenda, per così dire, passeggera. I giornali infatti avevano dimenticato il Lax una settimana dopo la sua scomparsa. Ma la cosa prende tutta un'altra piega se ci sono di mezzo due uomini che effettuano ricerche in una postazione del governo. La stampa avrebbe insistito per anni sull'enigma della base abbandonata. No, per eliminare Matajic e O'Riley era necessario ricorrere a metodi meno vistosi.»
«Per esempio abbattere un aereo disarmato mentre non ci sono testimoni in giro?»
«A quanto pare, è una loro abitudine», mormorò Sandecker. «Solo dopo il ritorno alla base, Matajic ha incominciato a nutrire qualche dubbio. Il capitano dell'imbarcazione aveva raccontato che il peschereccio era una nave gemella del Lax. Era possibile, pensava Matajic. Ma se la nave era un peschereccio, dov'era il pesce? Mancava persino l'odore caratteristico. Così si è attaccato alla radio, mi ha contattato alla sede centrale della NUMA, mi ha riferito l'episodio e i suoi sospetti e ha suggerito che la Guardia Costiera effettuasse un'indagine di routine sul peschereccio. Ho ordinato ai due di restare dov'erano, e ho assicurato che avrei mandato un aereo per riportarli a Washington al più presto possibile perché facessero un rapporto completo.» Sandecker buttò di nuovo nel cestino la cenere del sigaro e si oscurò ancora di più. «Ma era troppo tardi. Credo che il comandante della nave abbia captato il messaggio di Matajic. L'aereo ha raggiunto la banchisa, ha preso a bordo gli scienziati... e sono scomparsi tutti e tre.»
Sandecker frugò nel taschino e prese un foglio gualcito. «E questo è l'ultimo messaggio di Matajic.»
Pitt prese il foglio e l'aprì sul piano della scrivania. C'era scritto: «MAYDAY! MAYDAY! QUEL BASTARDO CI ATTACCA. NERO. MOTORE NUMERO UNO...» Il messaggio s'interrompeva bruscamente.
«E qui è entrato in scena il jet nero.»
«Proprio così. Dopo aver tolto di mezzo gli unici testimoni, il comandante aveva il problema della Guardia Costiera. Sapeva che sarebbe comparsa da un momento all'altro.»
Pitt guardò Sandecker con aria interrogativa. «Ma la Guardia Costiera non si è presentata. Non è stata mai chiamata a intervenire. Deve ancora spiegarmi perché ha mantenuto il silenzio anche dopo aver avuto la certezza che tre uomini della NUMA erano stati assassinati come bestie da un branco di macellai ambulanti.»
«A quel tempo non lo sapevo», ammise Sandecker, come al solito deciso e diretto come un fulmine. «Forse non volevo che quei figli di puttana avessero la soddisfazione di esserci riusciti... Pensavo che fosse meglio lasciarli nell'incertezza. È come cercare di afferrare le foglie durante un uragano, lo ammetto, ma è possibile che facciano una mossa imprevista, un errore che ci permetta di scoprire la loro identità... se e quando farò risuscitare i fantasmi di Matajic e O'Riley.»
«E come ha organizzato le ricerche?»
«Ho comunicato a tutte le unità di ricerca e soccorso del comando settentrionale che un apparato di grande valore era caduto da una nave della NUMA e stava galleggiando chissà dove. Ho indicato la rotta seguita dall'aereo e ho atteso che mi venisse comunicato un avvistamento. Ma non ho saputo più niente.» Sandecker agitò il sigaro in un gesto rassegnato. «E ho anche aspettato invano l'avvistamento di un peschereccio che corrispondesse alle linee dello scafo del Lax. Ma anche quello si era dileguato.»
«Ecco perché era sicurissimo che sotto l'iceberg ci fosse il Lax.»
«Diciamo che ero sicuro all'ottanta per cento», rispose Sandecker. «E avevo fatto qualche controllo presso tutte le autorità portuali fra Buenos Aires e Goose Bay, nel Labrador. Dodici porti avevano registrato l'arrivo e la partenza di un peschereccio islandese corrispondente alla sovrastruttura modificata del Lax... Per quello che può valere, era registrato sotto il nome di Surtsey, che in islandese significa 'sottomarino'».
«Capisco.» Pitt cercò a tentoni una sigaretta, poi ricordò che indossava abiti non suoi. «Difficilmente un peschereccio islandese moderno andrebbe in cerca di prede nelle acque dell'emisfero meridionale. L'unica spiegazione credibile è che usasse la sonda sottomarina.»
«È come se avessimo a che fare con una coniglia gravida», borbottò Sandecker. «Una soluzione ci lascia alle prese con una nuova nidiata di rompicapi insolubili.»
«È in contatto con il comandante Koski?»
«Sì. Il Catawaba è nei pressi del relitto mentre una squadra d'investigatori lo sta setacciando. Anzi, ho ricevuto un loro messaggio poco prima che lei si alzasse dal letto. Tre dei cadaveri sono stati identificati con certezza come membri dell'equipaggio di Fyrie. Gli altri erano carbonizzati al punto che è impossibile riconoscerli.»
«Sembra una storia di fantasmi alla Edgar Allan Poe. Fyrie, i suoi e il Lax spariscono in mare. Circa un anno dopo il Lax ricompare davanti a una nostra stazione di ricerca con un equipaggio diverso. Poi, poco dopo, la stessa nave si trasforma in un relitto sventrato dal fuoco e imprigionato in un iceberg, che ha a bordo i resti di Fyrie e del primo equipaggio. Più ci penso e più vorrei prendermi a calci per non aver preso quel jet dell'Aeronautica che mi avrebbe portato a Tyler Field.»
«L'avevo avvertita.»
Pitt sfoggiò un sorriso acido e si toccò la testa bendata. «Qui finisce che mi offrirò volontario una volta di troppo.»
«Probabilmente è l'uomo più fortunato nel mondo», commentò Sandecker. «È riuscito a sopravvivere a due attentati alla sua vita in una sola mattina.»
«A proposito, come se la passano i miei amici poliziotti?»
«Li stanno interrogando. Ma temo che, a meno di ricorrere a torture degne della Gestapo, da loro non riusciremo a farci dire neppure nome, grado e numero di matricola. Ripetono che finiranno comunque ammazzati e quindi perché mai dovrebbero dare informazioni?»
«Chi li interroga?»
«Agenti della NIA alla nostra base aerea di Reykjavik. Il governo islandese collabora totalmente con noi. Dopotutto, Fyrie era in pratica il loro eroe nazionale. Come noi, vogliono scoprire che cos'è successo alla sonda e al Lax.» Sandecker s'interruppe per togliersi dalla lingua un filo di tabacco. «Se mi domanda perché la NUMA è invischiata in questa storia invece di stare in tribuna ad applaudire la NIA e il suo esercito di superspie, la risposta sta, o meglio stava, in un nome: Hunnewell. Per mesi era stato in corrispondenza con gli scienziati di Fyrie e aveva messo a loro disposizione le sue nozioni perché la sonda funzionasse a dovere. Era stato Hunnewell a contribuire in modo decisivo allo sviluppo del celtinio-279. Era l'unico ad avere un'idea dell'aspetto della sonda, ed era anche l'unico in grado si smontarla senza problemi.»
«E questo, naturalmente, spiega perché Hunnewell doveva essere il primo a mettere piede a bordo del relitto.»
«Sì, il celtinio raffinato è molto instabile. Nelle condizioni giuste può esplodere con la forza di una bomba al fosfato da cinquanta tonnellate... ma con una differenza. Il celtinio brucia molto lentamente e riduce in cenere tutto ciò che incontra. Tuttavia, diversamente dagli esplosivi più comuni, ha una pressione espansiva molto bassa, la stessa di un vento inferiore ai cento chilometri orari. Quando esplode, può fondere una lastra di vetro, ma non mandarla in frantumi.»
«Allora la mia teoria del lanciafiamme era sbagliata. È stata la sonda a esplodere e a trasformare il Lax in un rogo istantaneo.»
Sandecker sorrise. «Ci è andato molto vicino.»
«E questo significa che la sonda è stata distrutta.»
Sandecker sorrise, ma ritornò rapidamente a oscurarsi. «I delitti, la sonda, la ricerca del tesoro sottomarino da parte degli assassini: è stato tutto inutile... Uno spreco terribile.»
«Non è possibile che l'organizzazione criminale responsabile di tutto ciò abbia in mano il progetto e i piani della sonda?»
«Sì, è più che possibile.» Sandecker s'interruppe, poi proseguì quasi distrattamente. «Ma non gli servirà a nulla. Hunnewell era l'unica persona al mondo che conosceva il processo per ottenere il celtinio-279. Come diceva spesso, in sostanza era così semplice che poteva conservarlo nella memoria.»
«Che stupidi», mormorò Pitt. «Hanno assassinato l'unica chiave che avrebbe permesso loro di costruire una sonda nuova. Ma perché? Hunnewell non poteva rappresentare un grave pericolo, a meno che non avesse trovato nel relitto qualcosa che portava all'organizzazione e alla sua mente direttiva.»
«Non ne ho la più vaga idea.» Sandecker alzò le spalle, rassegnato. «Come non riesco a immaginare chi fossero gli uomini invisibili che hanno scalpellato via il colorante rosso dall'iceberg.»
«Io vorrei proprio sapere quale sarà il prossimo passo.»
«A questo ho già provveduto io.»
Pitt rialzò gli occhi con aria scettica. «Spero che non sia un altro dei suoi famosi favori.»
«L'ha detto lei che voleva vedere se le donne islandesi sono belle.»
«Ecco che cambia di nuovo argomento.» Pitt fissò l'ammiraglio con uno sguardo deciso. «Mi lasci indovinare. Ha intenzione di presentarmi a una robusta funzionarla della polizia dagli occhi d'acciaio che mi costringerà a restare alzato metà della notte per rispondere alle solite domande. Mi dispiace tanto, ammiraglio, ma non me la sento.»
Sandecker socchiuse gli occhi e sospirò. «Faccia come crede. La ragazza che ho in mente io non è robusta, non ha gli occhi d'acciaio e non è una funzionaria di polizia. È una delle donne più incantevoli a nord del sessantaquattresimo parallelo e, potrei aggiungere, anche la più ricca.»
«Oh, davvero?» Pitt si animò di colpo. «E come si chiama?»
«Kirsti», rispose Sandecker con un sorriso malizioso. «Kirsti Fyrie, la gemella di Kristjan Fyrie.»
8.
Lo Snorri's Restaurant di Reykjavik avrebbe fatto un'ottima figura in una qualunque delle città più raffinate del mondo, suscitando approvazione e rispetto. Il grande salone, con la cucina aperta e i forni a pochi passi dall'area in cui si mangiava, era stato progettato secondo la tradizione vichinga. Le pareti rivestite di pannelli in legno, le porte intagliate e le travi creavano l'atmosfera ideale per una cena tranquilla ed elegante al contempo. Il menu era studiato in modo da soddisfare anche il palato più esigente e, lungo una parete, c'era un tavolo da buffet che offriva più di duecento tipi di piatti locali.
Pitt studiò la sala affollata. I tavoli erano occupati da islandesi: gli uomini erano loquaci e allegri; le donne snelle e incantevoli. Era ancora lì ad ammirare la scena e ad aspirare il profumo stuzzicante delle varie specialità quando il maître gli si avvicinò, rivolgendogli la parola in islandese. Pitt scosse la testa, indicò l'ammiraglio Sandecker e Tidi Royal seduti a un tavolo accanto al bar, e si avviò verso di loro.
Sandecker gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a Tidi e chiamò un cameriere. «È in ritardo di dieci minuti.»
«Chiedo scusa», disse Pitt. «Ho fatto una passeggiata nel Tjarnargardar e ho ammirato i monumenti locali.»
«A quanto pare hai trovato un fior di negozio d'abbigliamento maschile», commentò Tidi in tono di ammirazione, valutando con occhi esperti il maglione dolcevita, la giacca di velluto a coste e i pantaloni a quadretti.
«Mi ero stancato di portare roba smessa da altri», rispose Pitt con un sorriso.
Sandecker si rivolse al cameriere. «Altri due», ordinò. «Lei che cosa prende, Dirk?»
«Che state bevendo voi?»
«Gin olandese... Sembra che ai locali piaccia molto.»
Pitt storse le labbra. «No, grazie. Prendo il mio solito Cutty Sark on the rocks.»
Il cameriere annuì e si allontanò.
«Dove sarebbe l'affascinante creatura di cui ho sentito tanto parlare?» chiese Pitt.
«La signorina Fyrie sarà qui da un momento all'altro», spiegò Sandecker.
«Un attimo prima che venissimo attaccati, Hunnewell mi ha detto che la sorella di Fyrie era missionaria in Nuova Guinea.»
«Sì, e di lei si sa poco di più. Anzi, poca gente conosceva la sua esistenza prima che il testamento di Fyrie la nominasse come unica beneficiaria. Poi, un bel giorno, è apparsa alla Fyrie Limited e ha preso in mano le redini come se fosse stata lei a costruire l'impero. Ma non si faccia venire idee maliziose. Quella è sveglia... quanto lo era il fratello.»
«Allora perché vuol disturbarsi a presentarmela? Sostiene che devo starle alla larga, ma ho la netta impressione che dovrei far la parte del Principe Azzurro e diventare... intimo ma non troppo. Ha scelto l'uomo sbagliato, ammiraglio. Sono il primo a riconoscere che il mio aspetto non mi colloca nella categoria Paul Newman, ma quando si tratta di correr dietro alle sottane ho una pessima abitudine: sono schizzinoso. Non sono il tipo da buttarmi su tutte le ragazze, e specialmente su una che è la copia sputata del fratello, ha passato metà della vita come missionaria e dirige con mazza e catena un'azienda colossale. Mi dispiace, ammiraglio, ma la signorina Fyrie non dev'essere il mio tipo.»
«Secondo me è una vergogna», dichiarò Tidi, inarcando le sopracciglia. «La NUMA dovrebbe essere votata alla ricerca scientifica, eppure tutti questi discorsi non mi sembrano scientifici per niente.»
Sandecker le lanciò una di quelle occhiate ammonitrici che erano la sua specialità. «Le segretarie si dovrebbero vedere ma non sentire.»
Tidi fu risparmiata da ulteriori reprimende perché il cameriere venne a servire i drink. Li posò sul tavolo con movimenti esperti e se ne andò.
Sandecker attese fino a quando il cameriere non si fu allontanato prima di rivolgersi nuovamente a Pitt. «Quasi il quaranta per cento dei progetti della NUMA è imperniato sullo sfruttamento minerario del fondo marino. La Russia ci supera di un largo margine per quanto riguarda i programmi di superficie, e le sue navi sono all'avanguardia. Però è assai arretrata nella tecnologia per le grandi profondità, e quindi non può starci al passo nelle estrazioni sottomarine. Questo è il nostro punto di forza, un vantaggio che intendiamo mantenere. Il nostro Paese ha le risorse, ma la Fyrie Limited possiede le nozioni tecniche. Con Kristjan Fyrie avevamo un buon rapporto di lavoro. Adesso che non c'è più, desidero evitare che i risultati dei nostri sforzi vadano perduti proprio nel momento in cui i progetti stanno per andare in porto. Ho parlato con la signorina Fyrie. Non si sbilancia. Afferma che ha deciso di riconsiderare i problemi della sua azienda con il nostro Paese.»
«Mi ha detto che è sveglia», osservò Pitt. «Forse è disposta ad accordarsi con il miglior offerente. Niente indica che debba essere magnanima quanto il fratello.»
«Accidenti», esclamò irritato Sandecker. «Tutto è possibile. Forse odia gli americani.»
«Non è l'unica.»
«Se è così, deve esserci una ragione, e dobbiamo scoprirla.»
«E qui entra in scena Dirk Pitt.»
«Appunto, ma niente scherzi. Da questo momento, le chiedo formalmente di abbandonare il progetto Pacific Oceanlab e di dedicarsi a questo. Comunque, non pensi di giocare all'agente segreto. Lasci gli intrighi e i cadaveri alla National Intelligence Agency. Lei rivestirà il suo ruolo ufficiale, cioè quello di direttore dei Progetti Speciali della NUMA. Né più né meno. Se scopre qualche informazione che potrebbe portare agli assassini di Fyrie, Hunnewell e Matajic, dovrà passarla a chi di competenza.»
«E cioè a chi?»
Sandecker alzò le spalle. «Non lo so. La NIA non ha ritenuto opportuno dirmelo prima che lasciassi Washington.»
«Magnifico. Allora pubblicherò un annuncio a piena pagina sul giornale locale», commentò Pitt in tono acido.
«Non glielo consiglio», disse Sandecker. Bevve un sorso abbondante e fece una smorfia. «Dio mio, ma che ci trovano in questa roba?» Trangugiò un sorso d'acqua. «Dopodomani devo essere a Washington, e questo mi da abbastanza tempo per spianarle la strada.»
«Con... la signorina Fyrie?»
«Con la Fyrie Limited. Ho organizzato un programma di scambio. Io porto uno dei loro ingegneri più stimati negli Stati Uniti per studiare le nostre tecniche, mentre lei resterà qui e si presenterà ai dirigenti della società. Il suo compito principale sarà riallacciare gli stretti rapporti che avevamo una volta con l'azienda.»
«Ma se la signorina Fyrie è così fredda con lei e con la NUMA, perché ha accettato di venire stasera a incontrarci?»
«Per pura cortesia. Il dottor Hunnewell e suo fratello erano ottimi amici. La morte del dottore e il fatto che lei abbia tentato di salvarlo hanno fatto colpo sulla sua anima sensibile. Per dirla in breve, ha insistito per conoscerla.»
«Comincio a pensare che sia una via di mezzo fra Caterina di Russia e una suora», commentò Tidi, sarcastica.
«Non vedo l'ora d'incontrare il mio nuovo principale», disse Pitt, e Sandecker annuì. «Lo farà fra dieci secondi esatti... è entrata in questo momento.»
Pitt si voltò, e si voltarono anche tutti gli altri uomini presenti. Era nell'ingresso, alta e biondissima come l'immagine della perfezione femminile, incredibilmente bella, quasi fosse stata colta in quella posa ideale dall'obiettivo di un fotografo di moda. La figura statuaria era messa in risalto da un abito lungo di velluto viola con ricami sulle maniche e lungo l'orlo. Notò il cenno di Sandecker e si avviò verso il tavolo muovendosi con una grazia fluida che combinava la scioltezza di una danzatrice classica con l'energia di un'atleta. E le donne presenti la guardavano con invidia istintiva.
Pitt scostò la sedia, si alzò e studiò il suo viso mentre si avvicinava. L'abbronzatura lo stupiva un po': sembrava incongrua per un'islandese, anche ammettendo che avesse trascorso buona parte della sua vita nella Nuova Guinea. L'effetto complessivo era sensazionale. I capelli biondi, acconciati secondo un look casual di studiato disordine, e i profondi occhi viola dello stesso colore dell'abito la rendevano molto diversa dalla donna che Pitt aveva immaginato.
«Mia cara signorina Fyrie, il fatto che lei abbia accettato di cenare con noi mi onora.» L'ammiraglio Sandecker le prese la mano e gliela baciò. Poi si rivolse a Tidi, che ostentava un'aria amichevole. «Posso presentarle la mia segretaria, la signorina Tidi Royal?»
Le due donne si scambiarono un saluto educato ma piuttosto freddo.
Sandecker si girò verso Pitt. «E questo è il maggiore Dirk Pitt, la vera forza motrice dei progetti della NUMA.»
«Dunque è questo il coraggioso di cui mi ha tanto parlato, ammiraglio.» La voce era un po' roca, terribilmente sexy. «Sono profondamente addolorata per la tragica morte del dottor Hunnewell. Mio fratello aveva di lui la massima stima.»
«Siamo addolorati anche noi», disse Pitt.
Vi fu un breve silenzio mentre si guardavano: Kirsti Fyrie con un'espressione un po' interrogativa negli occhi, e qualcosa di più di un semplice interesse amichevole, e Pitt con un'analitica curiosità mascolina.
Fu il primo a rompere il silenzio. «Se continuo a fissarla, signorina Fyrie, è perché l'ammiraglio Sandecker non mi aveva detto che il direttore della Fyrie Limited aveva occhi così mistici.»
«Ho ricevuto altri complimenti dagli uomini, maggiore Pitt, ma nessuno paragonabile al suo.»
«Un'espressione puramente accademica», rispose Pitt. «Gli occhi sono le porte di accesso ai segreti che una persona nasconde dentro di sé.»
«E quali ombre buie e profonde scorge nei miei occhi?»
Pitt rise. «Un gentiluomo non rivela mai i pensieri di una signora.» Le offrì una sigaretta, ma Kirsti Fyrie scosse la testa. «Davvero, i nostri occhi hanno qualcosa in comune.»
«Gli occhi della signorina Fyrie sono azzurri», intervenne Tidi. «I tuoi sono verdi. Che cosa possono avere in comune, allora?»
«Gli occhi della signorina Fyrie, come i miei, hanno raggi che vanno dalla pupilla a tutta l'iride», spiegò Pitt. «A volte sono chiamati lampi.» S'interruppe per accendere una sigaretta. «L'ho saputo da una fonte competente. E tali lampi sono un segno di poteri extrasensoriali.»
«E lei, è chiaroveggente?» chiese Kirsti.
«Non direi proprio», rispose Pitt. «Perdo sempre a poker perché non so leggere nelle carte o nella mente del mio avversario. E lei, signorina Fyrie, che cosa vede nel futuro?»
Pitt notò un'ombra fuggevole negli occhi della donna.
«Conosco il mio destino, e quindi sono in grado di controllarlo.»
Il viso sorridente di Pitt rimase impassibile, ma il suo animo cominciò a entrare nello spirito del cacciatore-uomo che vuole prendere al laccio la preda-donna. Si sporse al di sopra del tavolo verso Kirsti e, a pochi centimetri dal suo viso, le mormorò: «Immagino che di solito si aspetti di ottenere tutto ciò che vuole».
«Sì!» esclamò lei senza esitare un solo istante.
«E se io le dicessi che in nessun caso cercherei di far l'amore con lei?»
«So che genere di risposta si aspetta, maggiore.» Un'espressione di sfida le animò il volto. «Ma se davvero la desiderassi e cercassi la sua attenzione farei il suo gioco. No, raramente mi prendo il disturbo di perdere tempo con qualcosa che non voglio. Ignorerò nel modo più completo il suo vano rifiuto.»
Pitt si comportò come se fosse inconsapevole dell'elettricità che aleggiava nell'aria. «Ah, signorina Fyrie, non immaginavo che fosse una fifona.»
Lei lo guardò senza capire. «Una fifona?»
«È un'espressione... popolare. Significa 'paurosa'», spiegò Tidi con voce tagliente.
L'ammiraglio Sandecker si schiarì la gola. Pensava a ciò che poteva accadere se la conversazione fosse continuata su quel tono.
«Non so proprio perché un vecchio come me debba star qui ad ascoltare tante chiacchiere spensierate mentre è sul punto di morir di fame, soprattutto quando, a meno di tre metri di distanza, ci sono tanti piatti deliziosi e invitanti.»
«Mi permetta di farvi conoscere il nostro buffet», disse Kirsti. «Immagino che l'appetito del maggiore Pitt per il cibo sia meno smodato di quello per il sesso.»
«Touché!» Pitt rise, si alzò e scostò la sedia di Kirsti. «A partire da questo momento, ogni mia mossa sarà ispirata dalla moderazione.»
Le varietà di pesce non finivano mai. Pitt contò più di venti specialità diverse di salmone e una quindicina di merluzzo. Tornarono al tavolo con i piatti pieni fin quasi a traboccare.
«Ho visto che ha scelto la nostra carne di squalo, maggiore.» Gli occhi di Kirsti sorridevano.
«Ne ho sentito parlare molto», disse Pitt. «E adesso, finalmente, ho la possibilità di assaggiarla.»
L'espressione sorridente nei begli occhi di Kirsti si trasformò in sorpresa quando Pitt cominciò tranquillamente a mangiare. «È sicuro di sapere coma la prepariamo?»
«Certo», ribatté lui. «La carne di certe specie di squali, soprattutto di quelli che si trovano nelle acque fredde, non si può mangiare fresca: quindi si taglia a fette che vengono prima sepolte sotto la sabbia delle spiagge per ventisei giorni, e poi seccate al vento.»
«E lei le sta mangiando crude, lo sa?» insistette Kirsti.
«Perché, c'è un altro modo?» chiese Pitt mentre si portava alla bocca un'altra fetta.
«Non perda tempo cercando di procurargli uno shock, signorina Fyrie», borbottò Sandecker, lanciando un'occhiata di disgusto alla carne di squalo. «Dirk ha l'hobby della gastronomia: la sua specialità è il pesce, ed è un esperto nella preparazione dei piatti di mare più famosi della cucina internazionale.»
«Per la verità è ottimo», commentò Pitt fra un boccone e l'altro. «Però mi pare che la versione della Nuova Guinea abbia un sapore migliore. Si fa seccare la carne di squalo avvolta in un'alga chiamata echidna che le dà un gusto leggermente dolciastro.»
«Di solito gli americani ordinano bistecca o pollo», disse Kirsti. «Lei è il primo che io conosca che preferisce il pesce.»
«Non è esatto», ribatté Pitt. «Come per molti miei compatrioti, il mio pasto preferito è costituito da un buon doppio hamburger con patatine fritte e un milkshake al cioccolato.»
Kirsti lo guardò e sorrise. «Comincio a pensare che abbia uno stomaco di ferro.»
Pitt alzò le spalle. «Ho uno zio che è il più famoso gourmet di San Francisco e, nel mio piccolo, sto cercando di seguire le sue orme.»
Proseguirono la cena senza parlare molto: erano tutti rilassati e a loro agio nell'atmosfera amichevole e conviviale. Due ore più tardi, davanti a un flambé di gelato e fragole scelto concordemente da Pitt e dallo chef, Kirsti annunciò che doveva andare.
«Spero che non mi giudicherà maleducata, ammiraglio Sandecker, ma purtroppo devo scappare. Il mio fidanzato ha insistito per accompagnarmi a una lettura di poesie e, dato che sono soltanto una donna, mi è difficile oppormi ai suoi desideri.» Lanciò a Tidi uno sguardo d'intesa molto femminile. «Sono sicura che la signorina Royal capirà la situazione.»
Tidi afferrò subito il sottinteso romantico. «La invidio, signorina Fyrie; un fidanzato che ama la poesia è davvero una rarità.»
L'ammiraglio Sandecker sorrise, raggiante. «I miei auguri più sinceri d'ogni felicità, signorina Fyrie. Non sapevo che fosse fidanzata. Chi è il fortunato?»
L'ammiraglio riesce molto bene a mantenere il controllo, pensò Pitt. Sapeva che il vecchio era sbalordito. Il nuovo sviluppo avrebbe imposto una serie diversa di regole del gioco... Pitt si stava già chiedendo com'era il concorrente.
«Rondheim... Oskar Rondheim», annunciò Kirsti. «Ci siamo conosciuti per lettera, grazie a mio fratello. Oskar e io ci scambiammo le foto e soltanto dopo due anni di corrispondenza ci siamo incontrati di persona.»
Sandecker la fissò. «Un momento», disse. «Mi pare di conoscerlo. Non è proprietario di una catena internazionale di stabilimenti conservieri? Le Rondheim Industries? Con una flotta peschereccia che ha le dimensioni della Marina spagnola? Oppure sto pensando a un altro Rondheim?»
«No, no, è lui», confermò Kirsti. «La sede centrale della Rondheim Industries è qui a Reykjavik.»
«I pescherecci sono azzurri e battono una bandiera rossa con un albatro?» chiese Pitt.
Kirsti annuì. «L'albatro è il simbolo portafortuna di Oskar. Conosce i suoi pescherecci?»
«Ho avuto occasione di sorvolarli», rispose Pitt.
Naturalmente aveva visto i pescherecci e il loro simbolo, come tutti i pescatori a nord del quarantesimo parallelo. Le flotte di Rondheim avevano fama di depredare le zone di pesca fino all'orlo dell'estinzione della fauna ittica, di derubare gli altri pescatori e di gettare le loro reti tinte di rosso all'interno delle acque territoriali di altri Paesi. L'albatro di Rondheim godeva della stessa considerazione della svastica dei nazisti.
«La fusione tra la Fyrie Limited e le Rondheim Industries darebbe come risultato un impero potentissimo», commentò Sandecker come se stesse soppesando le conseguenze.
Anche i pensieri di Pitt percorrevano la stessa rotta, ma si arrestarono quando Kirsti accennò un saluto con la mano.
«Eccolo. Eccolo là.»
I tre si voltarono e seguirono lo sguardo di Kirsti, puntato su un uomo distinto e dai capelli candidi che veniva verso di loro a passo deciso. Era piuttosto giovane, sulla quarantina, con il viso energico e palesemente segnato da anni di bufere oceaniche e di aria salmastra. Gli occhi erano di un freddo grigiazzurro, il naso sottile e forte, la bocca sembrava cordiale... anche se Pitt sospettava, a ragione, che potesse indurirsi in una linea aggressiva durante le trattative d'affari. Pitt lo classificò come un avversario abile e astuto e decise che era meglio non voltargli mai le spalle.
Rondheim si fermò accanto al tavolo e mostrò i denti candidi e regolari in un sorriso affabile. «Kirsti cara, stasera sei deliziosa.» E l'abbracciò con affetto.
Pitt attese di scoprire su chi si sarebbero puntati subito dopo gli occhi grigiazzurri: su di lui oppure sull'ammiraglio? Sbagliò. Rondheim si rivolse a Tidi.
«Ah... E chi è questa creatura incantevole?»
«La segretaria dell'ammiraglio Sandecker, la signorina Tidi Royal», disse Kirsti. «Posso presentarle Oskar Rondheim?»
«Signorina Royal.» Rondheim accennò un inchino. «Sono affascinato dai suoi occhi così interessanti.»
Pitt si premette il tovagliolo contro la bocca per soffocare una risata. «Credo che sia una frecciata per me», mormorò.
Tidi prese a ridacchiare, e Sandecker si associò con una risata sonante che fece voltare molte persone sedute ai tavoli vicini. Pitt non staccò gli occhi da Kirsti. Era molto colpito dall'espressione di timore, se non di panico, che le passò sul viso prima che si sforzasse di sorridere e di assecondare l'ilarità degli altri.
Rondheim rimase immobile a guardarsi intorno, un po' confuso, e strinse le labbra in un'espressione di collera. Non era necessario saper leggere nel pensiero per capire che non era abituato a essere deriso.
«Ho detto qualcosa di divertente?» chiese.
«Sembra che sia la serata dei complimenti agli occhi delle signore», esclamò Pitt.
Kirsti diede a Rondheim una rapida spiegazione e si affrettò a presentare Sandecker.
«È un vero piacere conoscerla, ammiraglio.» Gli occhi di Rondheim erano ritornati imperscrutabili. «La sua fama di navigatore e di oceanografo è ben conosciuta negli ambienti marinari.»
«Anche la sua reputazione è altrettanto famosa, signor Rondheim.» L'ammiraglio gli strinse la mano e indicò Pitt. «Il maggiore Dirk Pitt, il mio direttore dei Progetti Speciali.»
«Lietissimo», disse Pitt fra i denti mentre la mano di Rondheim stringeva la sua come una morsa. Per un attimo, lottò contro l'impulso di ricambiare il gesto; poi lasciò che la sua mano sembrasse inerte. «Santo cielo, signor Rondheim, lei è davvero molto forte.»
«Mi scusi, maggiore.» Rondheim trasalì, sorpreso e disgustato, e ritirò la mano come se avesse ricevuto una scossa elettrica. «Gli uomini che lavorano per me sono piuttosto rudi, e come tali vanno trattati. Quando non sono sul ponte di un peschereccio, a volte dimentico di comportarmi da gentiluomo.»
«Non deve scusarsi, signor Rondheim. Ammiro gli uomini energici.» Pitt alzò la mano e agitò le dita. «Non c'è niente di male, purché possa ancora usare un pennello.»
«Dipinge, maggiore?» chiese Kirsti.
«Sì, soprattutto paesaggi. Ma anche nature morte floreali. I fiori hanno qualcosa che va dritto all'anima, non le sembra?»
Kirsti lo guardò, incuriosita. «Mi piacerebbe vedere le sue opere, una volta o l'altra.»
«Purtroppo le mie tele sono a Washington. Ma sarei felice di offrirle le mie impressioni dell'Islanda, mentre sono qui.» Pitt si portò l'indice alle labbra in un gesto affettato. «Acquerelli, sì. Farò una serie di acquerelli. Magari potrà appenderli nel suo ufficio.»
«È molto gentile, ma non posso accettare...»
«Sciocchezze», l'interruppe Pitt. «Le vostre coste sono magnifiche. Non vedo l'ora di scoprire se riesco a rendere le forze contrastanti del mare e delle rocce che s'incontrano in un'eruzione naturale di luce e di colore.»
Kirsti sorrise educatamente. «Se insiste. Ma deve permettermi di fare qualcosa per lei, in cambio.»
«Vorrei un favore... una barca. Per rendere giustizia alle coste, dovrò dipingerle dal mare. Niente di lussuoso. Andrà bene un piccolo cruiser.»
«Parli con il responsabile del mio settore imbarcazioni, maggiore. Le procurerà un cruiser.» Kirsti esitò un momento, mentre Rondheim le posava una mano sul collo e sulla spalla. «Le nostre imbarcazioni sono ormeggiate al molo dodici.»
«Vieni, tesoro», sussurrò Rondheim. «Questa sera Max leggerà la sua nuova antologia. Non dobbiamo arrivare in ritardo.» Strinse un po' più forte la mano e Kirsti chiuse gli occhi. «Spero che vogliate scusarci.»
«Sì, certo», disse Sandecker. «Sono state due ore piacevolissime, signorina Fyrie. Grazie per la compagnia.»
Prima che qualcuno potesse aggiungere altro, Rondheim prese Kirsti per il braccio e la condusse via. Non appena ebbero varcato la soglia, l'ammiraglio Sandecker buttò sul tavolo il tovagliolo.
«Bene, Dirk, e adesso abbia la cortesia di spiegarmi la sua commedia.»
«Quale commedia?» chiese Pitt con aria innocente.
«Ammiro gli uomini energici», lo scimmiottò Sandecker. «Quella scena da omosessuale... Ecco a che cosa mi riferivo. Mancava soltanto il birignao.»
Pitt appoggiò i gomiti sul tavolo e assunse un'espressione molto seria. «Ci sono situazioni che offrono un netto vantaggio, se si viene sottovalutati. E questa è una di quelle situazioni.»
«Rondheim?»
«Esattamente. È lui, la ragione dell'improvvisa riluttanza della Fyrie a collaborare con gli Stati Uniti e la NUMA. Non è uno scemo. Quando avrà sposato Kirsti, il controllo di due delle società private più colossali del mondo finirà sotto un unico tetto. Le possibilità sono immense. L'Islanda e il suo governo sono troppo piccoli, troppo dipendenti dal futuro cartello Fyrie-Rondheim per tentare una sia pur minima resistenza a un'acquisizione molto ben finanziata. Poi, con la strategia adatta, le Fær Øer e la Groenlandia assicureranno a Rondheim il controllo virtuale dell'Atlantico settentrionale. Dopodiché si può soltanto tentare di indovinare quali saranno le sue ambizioni.»
Sandecker scosse la tesa. «Sta presumendo troppe cose. Kirsti non si assocerebbe mai a un simile gioco di potere.»
«Avrà poco da scegliere», disse Pitt. «In un matrimonio, il bottino va alla personalità dominante.»
«Una donna innamorata è cieca. È così?»
«No», rispose Pitt. «Non credo affatto che sia un'unione basata sull'amore.»
«Adesso è diventato anche un esperto in affari di cuore», commentò l'ammiraglio in tono sarcastico.
«Mi arrendo», sorrise Pitt. «Ma abbiamo la fortuna di trovarci in compagnia di un'esperta che ha un'intuizione innata per queste cose.» Si rivolse a Tidi. «Ti dispiacerebbe esternare la tua opinione femminile, tesoro?»
Tidi annuì. «Quella aveva un terrore folle di lui.»
Sandecker la fissò con aria dubbiosa. «Che cosa vorrebbe dire?»
«Quello che ho detto», rispose Tidi con fermezza. «La signorina Fyrie aveva una paura tremenda di Rondheim. Non ha visto come l'ha presa per il collo? Scommetto che sarà costretta a portare abiti accollati per tutta la settimana prossima, fino a che i lividi non spariranno.»
«È sicura di non eccedere?»
Tidi scosse la testa. «C'è mancato poco che si mettesse a urlare.»
Gli occhi di Sandecker si riempirono di ostilità. «Maledetto figlio di puttana», borbottò. Poi si rivolse a Pitt. «L'ha notato anche lei?»
«Sì.»
La collera di Sandecker crebbe. «E allora perché diavolo non è intervenuto?»
«Non potevo», rispose Pitt. «Non sarei stato in carattere. Rondheim ha tutti i motivi per credermi un gay. E voglio che continui a pensarlo.»
«Mi piacerebbe credere che abbia una vaga idea di quel che sta facendo», disse cupamente Sandecker. «Comunque, temo che si sia messo in un pasticcio raccontando di essere un artista. So benissimo che non è capace neppure di tracciare una linea retta. L'eruzione naturale della luce... In nome di Dio!»
«Non si preoccupi. Ci penserà Tidi. Ho visto diversi suoi lavori, e sono molti belli.»
«Io faccio quadri astratti», ribatté Tidi con una smorfia. «Non ho mai cercato di dipingere dal vero un paesaggio di mare.»
«Non importa», insistette Pitt. «Fai una marina astratta. Non dobbiamo mica far colpo sul direttore del Louvre.»
«Non ho neppure il necessario», protestò Tidi. «E poi, l'ammiraglio e io partiremo per Washington dopodomani.»
«Il volo è stato annullato poco fa.» Pitt si rivolse a Sandecker. «Giusto, ammiraglio?»
Sandecker congiunse le mani e rifletté. «In considerazione di quello che abbiamo saputo negli ultimi cinque minuti, ritengo opportuno restare sul posto per qualche giorno.»
«Il cambiamento di clima le farà bene», approvò Pitt. «Potrebbe andare a pesca, per esempio.»
Sandecker lo guardò. «Imitazioni di froci, corsi di pittura, partite di pesca. È disposto a far contento un vecchio, dicendomi che cosa sta frullando in quella sua mente infernale?»
Pitt prese un bicchiere e lo fece roteare tra le mani. «Un aereo nero», mormorò. «Un aereo nero che riposa in un sepolcro d'acqua.»
9.
Trovarono il molo dodici verso le dieci del mattino e furono ammessi oltre la barriera da un guardiano della Fyrie, un uomo alto e bruno. Sandecker indossava un vecchio abito sgualcito, un cappello floscio e pieno di macchie, e reggeva una cassetta di attrezzi da pesca e una canna. Tidi, in pantaloni e camicetta annodata, era protetta da una giacca a vento. Teneva sotto un braccio un blocco da disegno, e sotto l'altro una sacca, e le mani affondate nelle tasche del giubbotto. Il guardiano restò senza fiato quando scorse Pitt, che veniva per ultimo e si muoveva sul molo a passettirii femminei. Se Sandecker e Tidi avevano l'aria tipica dei pescatori, Pitt sembrava la regina degli omosessuali. Portava stivali alti di nappa rossa, pantaloni a righe multicolori, così aderenti da forzare le cuciture e sostenuti da un'alta cintura ricamata, nonché un maglione violaceo attillatissimo e ornato al collo da un foulard giallo. Continuava a sbattere le palpebre dietro un paio d'occhiali alla Benjamin Franklin e sfoggiava un berretto a maglia con tanto di pompon. Il guardiano lo fissò a bocca aperta.
«Salve, carino», cinguettò Pitt con un sorriso insinuante. «La nostra barca è pronta?»
Il guardiano continuò a tenere la bocca aperta. I suoi occhi sembravano incapaci di comunicare al cervello l'immagine che gli stava davanti.
«Su, su», lo scosse Pitt. «La signorina Fyrie ci ha concesso generosamente l'uso di una delle sue barche. Qual è?» Mentre parlava, Pitt non staccava gli occhi dall'inguine dell'uomo.
Il custode si animò di colpo, come se qualcuno l'avesse preso a calci, e l'espressione sbalordita lasciò il posto al disgusto. Senza pronunciare una parola, li condusse verso l'estremità del molo. Dopo una trentina di metri si fermò e indicò un fiammante Chris Craft da dieci metri.
Pitt saltò a bordo e sparì sottocoperta. Dopo un minuto risalì sul molo. «No, no, questo non va assolutamente. Troppo mondano, troppo sfacciato. Per poter creare ho bisogno di un'atmosfera... stimolante.» Guardò dall'altra parte del molo. «Ehi, e quello?»
Prima che il custode potesse rispondere, Pitt attraversò al trotto il molo e balzò sul ponte di un peschereccio da dodici metri. Lo esplorò per qualche minuto, poi si sporse da un boccaporto.
«Questo è l'ideale! Ha carattere e possiede una sua rozza originalità. Lo prendiamo.»
La guardia esitò un momento poi, con una scrollata di spalle, annuì e s'incamminò lungo il molo per tornare indietro. Ogni tanto si voltava a sbirciare Pitt, scuotendo la testa.
Una volta che si fu allontanato, Tidi disse: «Perché hai scelto questa vecchia bagnarola sporca e non lo yacht?»
«Dirk sa quel che fa.» Sandecker posò sulla tolda la canna e la cassetta e si girò a guardare Pitt. «Ha uno scandaglio acustico?»
«Un Fleming sei-dieci, il meglio del meglio. Frequenze extrasensibili per rilevare la presenza dei pesci a profondità diverse.» Pitt indicò una scaletta. «È stata una scelta fortunata. Aspetti che le mostri la sala macchine, ammiraglio.»
«Vuoi dire che abbiamo ignorato quel bellissimo Chris Craft semplicemente perché non ha lo scandaglio?» chiese Tidi in tono deluso.
«Appunto», rispose Pitt. «Uno scandaglio acustico rappresenta la nostra unica speranza di ritrovare l'aereo nero.»
Pitt precedette Sandecker nella sala macchine. Nel drastico passaggio dall'aria pura dell'esterno, l'aria viziata, l'odore d'olio e di acqua di sentina quasi mozzarono loro il fiato. Però c'era anche un altro odore. Sandecker guardò Pitt con aria interrogativa.
«Fumi di gasolio?»
Pitt annuì. «Dia un'occhiata ai motori.»
Un motore diesel è il mezzo più efficiente per far funzionare una piccola imbarcazione. È pesante, ha pochi giri al minuto, è lento, ma costa poco farlo funzionare ed è molto affidabile. È un tipo di motore usato su quasi tutte le imbarcazioni da lavoro che non si affidano alle vele. A fianco a fianco, con gli alberi delle eliche che sparivano nella sentina, stavano due Sterling da 420 cavalli alimentati a gasolio che luccicavano nella semioscurità, simili a giganti addormentati in attesa che l'accensione li destasse per metterli rumorosamente in funzione.
«Che diavolo se ne fa di una simile potenza una bettolina come questa?» chiese Sandecker.
«Se non prendo una cantonata», mormorò Pitt, «il guardiano ha commesso un errore.»
«E cioè?»
«Su un ripiano nella cabina principale ho trovato un guidone con l'albatro.»
Pitt passò una mano su una presa d'aria di uno Sterling: era così pulita da poter superare un'ispezione della Marina. «Questo peschereccio è di Rondheim, non della Fyrie.»
Sandecker rifletté per un momento. «La signorina Fyrie ci aveva detto di parlare con il responsabile del settore imbarcazioni. Per qualche ragione, il responsabile è assente, e il molo è affidato a quell'individuo dai baffi sporchi di tabacco. Comincio a chiedermi se non ci hanno messi nel sacco.»
«Non credo», rifletté Pitt. «Rondheim ci terrà indubbiamente d'occhio, ma non gli abbiamo dato motivo di sospettare delle nostre azioni... almeno finora. Il guardiano ha sbagliato in buona fede. Dato che non aveva istruzioni precise, probabilmente ha creduto che fossimo autorizzati a scegliere qualunque imbarcazione, e quindi ci ha mostrato per prima la più bella. Nel copione non era previsto che scegliessimo questo gioiello.»
«E che cosa ci fa qui? Non penso che Rondheim abbia difficoltà a trovare un attracco.»
«E che importanza ha?» disse Pitt con un gran sorriso. «Purché ci siano le chiavi nell'accensione, propongo di prenderlo e filarcela prima che il guardiano cambi idea.»
L'ammiraglio non ebbe bisogno di ulteriori sollecitazioni. Quando veniva il momento di prendere parte a giochetti tortuosi per realizzare uno scopo che considerava onesto, diventava incredibilmente subdolo. Si assestò il cappello sulla testa e impartì il primo ordine del suo nuovo comando.
«Tolga gli ormeggi, maggiore. Sono curioso di vedere che cosa sanno fare questi Sterling.»
Dopo un minuto esatto, il custode arrivò di corsa sul molto agitando le braccia come un pazzo. Ma era troppo tardi. Pitt, che era sul ponte, agitò le braccia a sua volta per salutarlo mentre Sandecker, felice come un bambino con un giocattolo nuovo, lanciava i motori al massimo dei giri e guidava il peschereccio nel porto di Reykjavik.
Il peschereccio si chiamava Grimsi e la piccola timoniera squadrata, a un metro e mezzo dalla poppa, dava la sensazione che viaggiasse nella direzione opposta a quella che il costruttore aveva in mente nel progettarlo. Era molto vecchio... vecchio quanto la bussola montata accanto al timone. L'assito di mogano del ponte era logoro e consumato, tuttavia ancora solido, e aveva l'odore del mare. Attraccato al molo, quel peschereccio sembrava poco più che una bagnarola sgraziata dalla forma tozza; ma quando i potenti motori Sterling avevano incominciato a borbottare, la prua s'era sollevata dall'acqua come un gabbiano che s'invola nel vento. Pareva lieto di sfrecciare senza sforzo e senza problemi.
Sandecker riportò indietro la manetta a una tacca sopra íl folle e pilotò il Grimsi in un lento giro del porto di Reykjavik. A giudicare dal suo sorriso, c'era da scommettere che l'ammiraglio fosse sul ponte di un incrociatore. In realtà era semplicemente nel suo elemento, e ne era assai soddisfatto. Agli occhi di un osservatore curioso, i passeggeri sembravano turisti in crociera: Tidi prendeva il sole e puntava la macchina fotografica su tutto ciò che vedeva, mentre Pitt disegnava furiosamente su un album. Prima di lasciare il porto, accostarono a una barca che vendeva esche e comprarono due secchi di aringhe. Poi, dopo una conversazione animata con i pescatori, si staccarono e si diressero verso il mare aperto.
Non appena ebbero superato una punta rocciosa e persero di vista il porto, Sandecker diede potenza ai motori e portò il Grimsi a trenta nodi. Era uno spettacolo strano: quella barca sgraziata balzava sulle onde con la stessa scioltezza di un mezzofondista. Le onde cominciarono a ricadere le une sulle altre quando il Grimsi aumentò la velocità e le lasciò indietro in una scia turbinosa. Nel frattempo, Pitt aveva trovato una carta della costa e, dopo averla sistemata su un piccolo ripiano, prese a esaminarla insieme a Sandecker.
«È più o meno qui», disse, indicando con una matita. «Trentacinque chilometri a sud-est di Keflavik.»
Sandecker annuì. «Un'ora e mezzo, non di più, a questa velocità. Dia un'occhiata. Le manette sono ancora a cinque centimetri abbondanti dalla potenza massima.»
«Le condizioni meteorologiche mi sembrano ideali. Spero che continui così.»
«Non ci sono nubi in nessuna direzione. Di solito, in questo periodo dell'anno, c'è calma intorno alla parte meridionale dell'Islanda. Il peggio che possa capitarci è incontrare un po' di nebbia. Di solito si forma nel tardo pomeriggio.»
Pitt sedette, appoggiò i piedi sul ripiano e contemplò la costa rocciosa. «Almeno non dovremo preoccuparci del combustibile.»
«Nel senso che i serbatoi...»
«Sono pieni per due terzi.»
La mente di Sandecker lavorava come un computer. «Basta e avanza per il nostro scopo. Non abbiamo motivo di risparmiare, tanto più che il conto lo paga Rondheim.» E, con aria soddisfatta, spinse le manette verso la massima potenza. Il Grimsi sfrecciò via sul mare azzurro e ondulato mentre la prua sollevava due giganteschi baffi di spuma.
Il tempismo di Sandecker lasciava tuttavia un po' a desiderare. Infatti, proprio mentre l'ammiraglio dava la massima potenza agli Sterling, Tidi stava salendo la scaletta della cambusa e teneva in equilibrio un vassoio con tre tazze di caffè. L'accelerazione improvvisa la colse alla sprovvista, il vassoio volò in aria e Tidi, come se venisse strattonata da una mano invisibile, ripiombò nella cambusa. Pitt e Sandecker non si accorsero di nulla.
Dopo neanche un minuto, Tidi piombò nella timoniera: fremeva d'indignazione, aveva i capelli bagnati e la camicetta sporca di caffè. «Ammiraglio James Sandecker», gridò con voce così acuta da soffocare il rombo degli Sterling. «Quando torneremo in albergo potrà aggiungere al suo conto una camicetta nuova e una seduta dal parrucchiere.»
Sandecker e Pitt la guardarono e si scambiarono un'occhiata perplessa. «Potevo ustionarmi in modo grave e finire all'ospedale», continuò Tidi. «Se vuole che faccia da hostess in questo viaggio, le consiglio di avere un po' più di riguardo.» Quindi girò sui tacchi e sparì nella cambusa.
Sandecker aggrottò le sopracciglia. «Ma... Che diavolo avrà voluto dire?»
Pitt scrollò le spalle. «Raramente le donne danno spiegazioni.»
«È troppo giovane per simili scatti isterici», borbottò Sandecker.
«Qualunque cosa sia, le costerà una camicetta e una seduta dal parrucchiere», disse Pitt, approvando tra sé l'aggressività «contabile» di Tidi.
Tidi impiegò dieci minuti per preparare un altro bricco di caffè. Dato il movimento dello scafo del Grimsi, che si sollevava e ricadeva sulle onde, fu una vera dimostrazione di abilità professionale il fatto che riuscisse a risalire nella timoniera senza far traboccare una sola goccia dalle tre tazze che stringeva con ostinata fermezza. Pitt non seppe trattenere un sorriso mentre beveva il caffè e guardava l'acqua cristallina che scorreva sotto la vecchia imbarcazione. Poi pensò a Hunnewell, a Fyrie, a Matajic, a O'Riley, e il sorriso scomparve.
Era ancora cupo in volto mentre fissava l'ago dello scandaglio acustico che zigzagava sulla carta e misurava il fondale marino. Trentadue metri. Non sorrideva perché là sotto, da qualche parte, c'era un aereo, e lui doveva assolutamente trovarlo. Se la fortuna fosse stata dalla sua parte, lo scandaglio avrebbe mostrato una massa irregolare.
Si orientò con le scogliere e si augurò che tutto andasse bene.
«È sicuro del suo schema di ricerca?» s'informò Sandecker.
«Sicuro al venti per cento, e per l'ottanta per cento sto tirando a indovinare», rispose Pitt. «Le probabilità sarebbero state migliori se avessi potuto contare sull'Ulysses come punto di riferimento.»
«Mi dispiace, ma ieri non sapevo che cosa intendeva fare. La mia richiesta ufficiale di recupero è stata esaudita poche ore dopo che eravate precipitati. Il reparto di ricerca e soccorso della nostra Aeronautica a Keflavik ha ripescato l'Ulysses dalla risacca con un elicottero gigante. Deve riconoscere che sono molto efficienti.»
«E la loro efficienza ci costerà cara», borbottò Pitt.
Sandecker tacque un momento per modificare la rotta. «Ha controllato l'equipaggiamento per l'immersione?»
«Sì, è tutto a posto. Mi ricordi che devo offrire da bere a quelli del consolato, quando torneremo. È stata un'impresa non da poco camuffarsi da venditori di esche con un preavviso così breve. Se qualcuno avesse osservato la scena con il binocolo, l'avrebbe giudicata del tutto innocente. Mentre lei comprava le esche, l'equipaggiamento è stato caricato a bordo con tanta abilità che quasi non me ne sono accorto, sebbene fossi a tre metri di distanza.»
«L'idea non mi piace. Un'immersione solitaria è rischiosa, molto rischiosa. Devo confessarle che non ho l'abitudine di contravvenire agli ordini che io stesso ho impartito e quindi di permettere che uno dei miei uomini s'immerga in acque sconosciute senza le debite precauzioni.» Sandecker spostò il proprio peso da un piede all'altro. Non era affatto d'accordo con la decisione di Pitt, e il disagio traspariva dalla sua espressione. «Che cosa spera di trovare là sotto, oltre a un aereo sfasciato e a cadaveri gonfi d'acqua? Come può essere certo che qualcun altro non ci abbia battuti sul tempo?»
«C'è una vaga possibilità che i cadaveri abbiano addosso qualcosa che permetta di identificarli e di risalire al responsabile di questo enigma. Basta e avanza perché valga la pena di tentare di trovare i resti. La cosa più importante è proprio l'aereo. I numeri e le sigle erano nascosti dalla vernice nera, e da una certa distanza non si riconosceva altro che una sagoma. L'aereo, ammiraglio, è l'unico indizio sicuro che abbiamo per scoprire l'assassino di Hunnewell e di Matajic. La sola cosa che la vernice nera non può coprire è il numero di serie del motore. Se troveremo l'aereo e se scoprirò quel numero, sarà piuttosto semplice contattare il costruttore, collegare il motore all'aereo, e risalire al proprietario.»
Pitt fece una breve pausa per regolare lo scandaglio. «Quanto poi alla sua seconda domanda», continuò, «la risposta è: 'Non è possibile'.»
«Mi sembra maledettamente sicuro», ribatté Sandecker. «Anche se odio quel figlio di puttana, devo ammettere che è furbo. Probabilmente ha già fatto cercare l'aereo scomparso perché sa che il relitto potrebbe tradirlo.»
«È vero. Può aver fatto una ricerca in superficie ma adesso, per la prima volta, noi siamo in vantaggio. Nessuno ha assistito allo scontro. I ragazzini che hanno trovato sulla spiaggia Hunnewell e me mi hanno spiegato che erano arrivati lì soltanto dopo aver notato l'Ulysses nella risacca. Dopo, e non prima. E il fatto che i nostri sicari, invece di presentarsi molto più tardi a casa del medico, non ci abbiano uccisi quando ne avevano l'occasione, dimostra che non c'erano osservatori a terra. Tutto sommato, io sono l'unico superstite che sa dove guardare...»
Pitt s'interruppe di colpo, fissando la carta e l'ago. Le linee nere incominciarono ad allargarsi fino a descrivere un piccolo rialzo fra i due metri e mezzo e i tre metri sul fondo marino piatto e sabbioso.
«Mi sa che ci siamo», annunciò Pitt in tono pacato. «Viri a sinistra e attraverso la nostra scia sulla rotta uno-otto-cinque, ammiraglio.»
Sandecker girò il timone e virò di duecentosettanta gradi verso sud. Il Grimsi ondeggiò dolcemente mentre passava sulle onde della propria scia. Questa volta l'ago impiegò più tempo a indicare un'altezza di tre metri prima di ritornare nuovamente a zero.
«Profondità?» chiese Sandecker.
«Quarantaquattro metri», rispose Pitt. «A giudicare dalle indicazioni, gli siamo appena passati sopra.»
Qualche minuto più tardi il Grimsi era ormeggiato sopra il punto indicato dallo scandaglio. La riva era a un chilometro e mezzo, e le grandi scogliere grigie spiccavano sotto il sole nordico. Nello stesso tempo, una brezza leggera si alzò e incominciò a increspare la superficie dell'acqua. Era un avvertimento, un segnale che preannunciava un peggioramento delle condizioni meteorologiche. La brezza e l'apprensione fecero rizzare i capelli di Pitt. Per la prima volta cominciò a domandarsi che cosa avrebbe trovato sotto le acque fredde dell'Atlantico.
10.
Il fulgido cielo azzurro, sgombro di nubi, permetteva al sole di battere con tutta la sua forza. E a Pitt, che aveva indossato la muta di neoprene nero, pareva di trovarsi in una sauna. Stava controllando il vecchio erogatore Diver's Deepstar a tubo unico; avrebbe preferito un modello più recente, ma c'era poco da scegliere. Poteva anzi considerarsi fortunato perché un giovane funzionario del consolato era un patito delle immersioni e gli aveva messo a disposizione l'equipaggiamento. Fissò l'erogatore alla valvola di una bombola. Era riuscito a trovare due bombole, sufficienti per un'immersione di un quarto d'ora a una profondità di quarantaquattro metri. L'unica consolazione era che non sarebbe rimasto là sotto abbastanza a lungo per doversi preoccupare della decompressione.
Le ultime cose che vide sul ponte del Grimsi prima che l'acqua verdazzurra si chiudesse sulla maschera, furono l'ammiraglio Sandecker, seduto con aria insonnolita e la canna da pesca stretta fra le mani, e Tidi, che aveva indossato gli abiti sgargianti e il berretto di Pitt, impegnata a ritrarre la costa islandese. Al riparo dagli occhi di chiunque potesse eventualmente spiare dalle scogliere, Pitt si calò in acqua sul lato dietro la timoniera e si calò nell'oceano. Era teso: senza un compagno d'immersione, non c'era spazio per gli errori.
Lo shock dell'acqua gelida a contatto con il corpo sudato rischiò di fargli perdere i sensi. Usò come guida la cima dell'ancora e la seguì, mentre le bollicine d'aria vorticavano e salivano pigramente verso la superficie. Via via che scendeva, la luce diminuiva e la visibilità si riduceva. Controllò i punti di riferimento vitali. Il profondimetro indicava trenta metri e il quadrante arancio dell'orologio subacqueo rivelava che era in immersione da due minuti.
A poco a poco apparve il fondale. Gli orecchi gli schioccarono per la terza volta. Fu colpito dal colore della sabbia: un nero assoluto. Diversamente dai fondali della maggior parte del mondo - la cui sabbia era bianca -, l'attività vulcanica dell'Islanda aveva lasciato un tappeto di granelli color ebano. Pitt rallentò, affascinato dalla stranezza del colore scuro sotto la coltre immensa di acqua verdazzurra. La visibilità era di una dozzina di metri... ottima, considerata la profondità.
Istintivamente, girò su se stesso in cerchio. Non c'era niente in vista. Alzò gli occhi e vide un piccolo banco di merluzzi che, a poca distanza dal fondo, si cibavano della loro pietanza preferita: gamberetti e granchi. Rimase a guardarli per un momento mentre passavano sopra di lui.
I corpi un po' appiattiti avevano un bel colore verde oliva, ed erano tempestati di centinaia di piccoli punti scuri. Era un peccato che l'ammiraglio non potesse pescarne qualcuno. Il più piccolo di certo non pesava meno di sette chili.
Incominciò a nuotare in cerchi sempre più ampi intorno alla cima dell'ancora, strusciando una pinna nella sabbia per lasciare una traccia. Spesso, sott'acqua, gli capitava di vedere cose fantastiche; a certe profondità, la sua percezione era distorta, e il pericolo ingigantiva al di là di ogni ragione. Dopo aver nuotato in cerchio per cinque volte, individuò una sagoma indistinta nella nebulosità azzurrina. Scalciò energicamente e nuotò in quella direzione. Ma ben presto le sue speranze vennero disattese. La sagoma intravista era quella di un'imponente roccia irregolare, singolarmente analoga a un avamposto in mezzo al deserto. Pitt girò intorno ai fianchi levigati dalle correnti, cercando al contempo di riflettere. Quella roccia non può corrispondere all'indicazione dello scandaglio acustico, pensò.
Il picco era troppo conico per somigliare alla fusoliera di un aereo.
Poi, a poco più di un metro di distanza, scorse qualcosa nella sabbia. La vernice nera sul portello spezzato e deformato lo rendeva quasi invisibile, mimetizzandolo con la sabbia. Pitt si avvicinò, girò il portello e sussultò per la sorpresa quando una grossa aragosta fuggì da quell'insolito rifugio. Nel pannello interno non c'erano contrassegni. Devo muovermi in fretta, si disse Pitt. L'aereo doveva essere vicinissimo, ma lui era quasi sul punto di dover aprire la valvola della riserva che gli avrebbe permesso di respirare ancora per pochi minuti... appena il tempo sufficiente per risalire alla superficie.
Non impiegò molto per trovarlo. L'aereo era posato sul ventre, spezzato in due, a conferma della violenza dell'impatto. Mentre osservava i relitti, però, Pitt si rese conto che ormai faceva quasi fatica a respirare: doveva attingere alla riserva. Aprì la valvola e risalì. Mentre seguiva la scia delle bollicine d'aria, la distesa d'acqua sopra la sua testa diventò a poco a poco più luminosa. A nove metri si fermò e cercò con lo sguardo lo scafo del Grimsi in modo da individuare un punto di emersione che fosse invisibile dalla riva. Il Grimsi sembrava un'anatra grassoccia, e oscillava sulle onde lunghe. Pitt si orientò per mezzo del sole e calcolò che il peschereccio si era spostato in un arco di centottanta gradi: la fiancata di dritta era adesso rivolta verso la costa.
Si issò a sinistra, si liberò della bombola e strisciò sulla tolda fino alla timoniera. Sandecker, senza alzare gli occhi, appoggiò la canna da pesca al parapetto, si mosse lentamente e si sporse all'interno.
«Spero che abbia avuto più fortuna di me.»
«L'aereo è cinquanta metri a dritta», rispose Pitt. «Non ho avuto tempo di controllare l'interno. Avevo quasi finito l'aria.»
«Sarà meglio che si tolga la muta e beva una tazza di caffè. Ha la faccia blu come un mulino a vento su una maiolica di Delft.»
«Tenga in caldo il caffè. Mi metterò tranquillo non appena avremo quello che siamo venuti a cercare.» Pitt si avviò verso la porta.
«Lei non andrà in nessun posto per la prossima ora e mezzo», lo bloccò Sandecker. «Abbiamo ancora parecchio tempo. È presto. Non ha senso abusare delle sue risorse fisiche. Conosce le tabelle delle immersioni ripetitive meglio di qualunque altro sub al mondo. Due immersioni a quarantaquattro metri nel giro di mezz'ora comportano quasi inevitabilmente un'embolia.» Dopo una breve pausa, riprese, a voce più bassa: «Ha visto molti uomini urlare per la sofferenza. Conosce quelli che sono sopravvissuti e quelli che sono rimasti paralizzati per tutta la vita. Anche se spingessi al massimo questa bettolina, non potrei arrivare a Reykjavik in meno di due ore. Aggiunga altre cinque ore a bordo di un jet per Londra e per la più vicina camera di decompressione. Niente da fare, amico mio. Vada sottocoperta e riposi. Glielo dirò io, quando potrà immergersi di nuovo».
«Mi arrendo, ammiraglio.» Pitt fece scorrere la lampo della muta. «Ma credo che sarebbe meglio se mi sdraiassi sul ponte. Così saremo visibili tutti e tre.»
«E chi dovrebbe vederci? La costa è deserta, e non abbiamo incontrato un'altra imbarcazione da quando abbiamo lasciato il porto.»
«La costa non è deserta. C'è un osservatore.»
Sandecker si voltò a guardare la scogliera. «Forse sto invecchiando, ma non ho ancora bisogno degli occhiali, e mi venga un accidente se vedo qualcosa.»
«È sulla destra, dietro la roccia che sporge dall'acqua.»
«A questa distanza non riesco a vedere un corno.» L'ammiraglio lanciò un'occhiata verso il punto indicato da Pitt. «Se prendessi il binocolo e guardassi, sarebbe come se spiassi attraverso il buco di una serratura e vedessi un altro occhio. Come fa a essere così sicuro?»
«Ho visto un riflesso. Il sole ha lampeggiato su qualcosa, per un attimo. Probabilmente una coppia di lenti.»
«Lasci che guardino. Se qualcuno dovesse chiedere perché eravamo solo in due sul ponte, spiegheremo che Tidi soffriva di mal di mare e si era sdraiata su una cuccetta sottocoperta.»
«Può essere una scusa buona», disse Pitt con un sorriso. «Purché non riescano a capire la differenza fra me e Tidi, nonostante l'abbigliamento ridicolo.»
Sandecker rise. «Con un binocolo a un chilometro e mezzo di distanza, neppure sua madre sarebbe in grado di cogliere la differenza.»
«Non so davvero come interpretare questo commento.»
Sandecker si voltò a guardarlo negli occhi, e sorrise ironicamente. «Non ci provi neppure. E adesso fili sottocoperta. È l'ora del sonnellino. Manderò Tidi a portarle una tazza di caffè. E non tenti di fare scherzi. So che si eccita dopo un'immersione problematica.»
Una strana luce grigiastra entrava dal boccaporto quando Sandecker scosse Pitt. Si svegliò lentamente, con la mente confusa, stordito dal sonnellino più di quanto avrebbe potuto intontirlo un sonno di otto ore. Poi notò che il movimento delle onde s'era ridotto: il Grimsi si muoveva appena, e la brezza era caduta. L'aria era umida e pesante.
«È cambiato il tempo, ammiraglio?»
«Un banco di nebbia in arrivo da sud.»
«Quando?»
«Tra una ventina di minuti al massimo.»
«Non è molto.»
«È abbastanza... abbastanza per una breve immersione.»
In breve tempo, Pitt indossò nuovamente la muta e l'attrezzatura e si calò in acqua. Ridiscese in un mondo dove non c'erano né suoni né venti, dove l'aria non esisteva. Scalciò energicamente con le pinne e proseguì verso il fondo. I muscoli erano freddi e indolenziti, il cervello ancora intorpidito dal sonno.
Nuotava in silenzio, senza sforzo come se fosse sospeso a un filo. Nuotava in mezzo ai colori che si oscuravano: il verdazzurro si trasformava lentamente in un grigio tenue. Non aveva più il senso dell'orientamento, ma solo gli indizi forniti dall'istinto e dai punti di riferimento sul fondale. Poi lo trovò.
Il cuore cominciò a battergli come una grancassa mentre si avvicinava cautamente all'aereo. Sapeva per esperienza che, quando fosse entrato nel relitto, ogni movimento sarebbe stato pericoloso.
Raggiunse lo squarcio della fusoliera, a un paio di metri dalle ali, verso la coda, e fu accolto da un piccolo sebaste marino, un pesce non più lungo di una quindicina di centimetri. Le squame arancioni contrastavano nettamente con lo sfondo scuro e, nella luce fioca, l'animaletto pareva un ornamento per l'albero di Natale. Il pesce fissò Pitt per un momento con un occhio tondo incastonato sotto la testa spinosa, quindi gli sfrecciò davanti mentre lui entrava nell'aereo.
Non appena si abituò all'oscurità, Pitt si trovò di fronte a un caos di sedili divelti e a casse di legno che galleggiavano contro il soffitto. Spinse due casse verso l'apertura e rimase a guardarle mentre salivano verso la superficie. Poi scorse un guanto che rivestiva ancora una mano umana e un braccio verdastro. Infine scorse il corpo, incastrato fra i sedili dell'angolo inferiore della cabina di pilotaggio. Pitt lo disincagliò e frugò negli indumenti. Probabilmente è l'uomo che ha sparato dal portello con l'arma automatica, pensò. La testa, fracassata e ridotta a una sorta di pasta semiliquida, non era davvero un bello spettacolo: la materia grigia e i frammenti del cranio erano infatti sgranati in tentacoli rossicci che si dipartivano dalla massa centrale e ondeggiavano all'unisono con la corrente. Le tasche della tuta nera e lacera che copriva il cadavere contenevano soltanto un cacciavite.
Pitt infilò il cacciavite nella cintura e, un po' nuotando e un po' planando, entrò nella cabina di pilotaggio. A parte un finestrino rotto dalla parte del copilota, il cuore dell'aereo appariva vuoto e indenne. Ma poi alzò lo sguardo verso le bollicine d'aria che salivano verso il tettuccio e guizzavano come un serpente argenteo in cerca di una via d'uscita. Alla fine confluivano in un angolo, e giravano intorno a un altro cadavere, sospinto lassù dai gas che si espandevano sotto la carne in decomposizione.
Il pilota morto indossava una tuta nera dello stesso tipo. Pitt si avvicinò e lo perquisì rapidamente: nulla. Il piccolo sebaste sfrecciò a fianco di Pitt e cominciò a mangiucchiare l'occhio destro e sporgente del pilota. Ansimando, Pitt spinse via il corpo, lottò contro l'impulso di vomitare nel boccaglio e attese fino a quando non ebbe ripreso il controllo del proprio respiro. Diede un'occhiata all'orologio subacqueo. Era in immersione da nove minuti, non dai novanta suggeriti dall'immaginazione. Gli restava poco tempo. Si mosse brancolando nello spazio limitato in cerca di un libretto di volo, di un elenco della manutenzione, qualunque cosa che avesse un'intestazione a stampa. Niente da fare: l'abitacolo custodiva fedelmente il proprio segreto. Non c'erano documenti di sorta, e neppure un adesivo con le lettere di chiamata dell'aereo fissato alla ricetrasmittente.
Quando uscì dall'aereo, ebbe la sensazione di essere rinato. L'acqua era più buia di quando s'era immerso. Dopo aver controllato la sezione di coda, si spostò verso il motore di destra, ma si accorse subito che era sepolto quasi completamente nei sedimenti. Ebbe più fortuna con il motore di sinistra. Non soltanto era facilmente accessibile, ma la cappottatura s'era addirittura staccata, lasciando esposto il complesso della turbina. Affannosamente, individuò il punto in cui si trovava la piastrina di identificazione. Non c'era. Restavano solo le quattro piccole viti di bronzo che una volta l'avevano fissata.
Esasperato, batté il pugno sull'incastellatura. Era inutile continuare a cercare. Ora sapeva che tutti i segni d'identificazione degli strumenti, degli apparati elettrici e delle altre parti meccaniche erano stati cancellati. Imprecò in silenzio contro la mente che aveva ispirato tanta meticolosità. Sembrava strano che un uomo solo avesse potuto considerare ogni eventualità e avesse preso le debite precauzioni. Nonostante l'acqua freddissima, rivoli di sudore gli scorrevano sulla faccia sotto la maschera. La sua mente funzionava a vuoto, proponeva problemi e interrogativi, ma non riusciva a trovare soluzioni. Senza pensare, seguì con gli occhi le evoluzioni del sebaste marino. Lo aveva seguito dall'abitacolo e adesso guizzava intorno a un oggetto argenteo, a poco più di un metro dal muso dell'aereo. Pitt continuò a guardarlo per quasi mezzo minuto, conscio esclusivamente del suono delle bollicine che uscivano dalla maschera; finalmente reagì e riconobbe il lungo tubo argenteo come l'ammortizzatore idraulico del carrello anteriore.
Lo raggiunse in fretta e lo studiò. L'impatto lo aveva strappato al supporto e l'aveva scagliato, con il pneumatico e la ruota, lontano dalla sezione del muso. Il risultato non era diverso: il numero di serie della fabbrica era stato limato dall'incastellatura d'alluminio. Poi, mentre stava per risalire verso la superficie, Pitt lanciò un'ultima occhiata verso il basso. Sulla parte terminale dell'incastellatura, dove l'ammortizzatore era stato strappato via, scorse due lettere incise rozzamente nel metallo: SC. Prese il cacciavite dalla cintura e tracciò le sue iniziali accanto alle altre. La profondità di DP corrispondeva a quella di SC.
Bene, è inutile restare ancora qui, si disse. L'aria cominciava a diventare irrespirabile... la bombola stava per vuotarsi. Azionò la valvola della riserva e si mosse verso l'alto. Il sebaste lo seguì fino a quando si girò e gli agitò la mano davanti al muso, facendolo fuggire al riparo di una roccia. Pitt sorrise e fece un cenno di saluto. Il suo compagno di giochi avrebbe dovuto trovarsi un altro amico.
A quindici metri, Pitt s'inarcò sul dorso e rivolse lo sguardo nella direzione in cui doveva trovarsi la superficie: doveva scoprire la propria posizione in rapporto al Grimsi. La luce era uniforme in tutte le direzioni, e solo le bollicine d'aria indicavano la posizione del suo elemento natio. A poco a poco la luce diventò più forte; ma era pur sempre molto più buio di quando s'era tuffato dal Grimsi. Emerse con la testa e si trovò circondato da una fitta coltre di nebbia. Dio mio, pensò, così sarà impossibile trovare la barca. E tentare di raggiungere a nuoto la riva sarebbe stato troppo rischioso.
Pitt si tolse dalle spalle la bombola, la legò alla cintura già sganciata e le lasciò cadere sul fondo. Ora poteva galleggiare agevolmente grazie alla muta di gomma. Restò immobile, respirando appena, in attesa che un suono filtrasse attraverso il grigiore. All'inizio riuscì a sentire soltanto l'acqua che sciabordava contro il suo corpo. Poi captò una voce un po' stridula, una voce che cantava una versione stonata di My Bonnie Lies Over the Ocean. Pitt si portò le mani agli orecchi per amplificare il suono e individuarne la provenienza. Poi si avviò con calma, nuotando a rana per risparmiare energie. Si fermò dopo una quindicina di metri. Il canto era cresciuto di volume. Cinque minuti più tardi toccò lo scafo malconcio del Grimsi e s'issò a bordo.
«Ha fatto una bella nuotata?» chiese Sandecker come se parlasse di una gitarella.
«Non è stata molto piacevole e neppure molto redditizia.» Pitt fece scorrere la lampo della muta scoprendo il torace villoso. Poi rivolse all'ammiraglio un sorriso impertinente. «Strano, avrei giurato di sentire una sirena antinebbia.»
«Non lo era per niente. Era qualcuno che un tempo si esibiva come baritono nell'ambito dell'Annapolis Glee Club, classe '39.»
«Non ha mai avuto una voce più bella di adesso, ammiraglio.» Pitt lo guardò negli occhi. «Grazie.»
Sandecker sorrise. «Non è me che deve ringraziare, ma Tidi che ha dovuto sorbirsi dieci ritornelli.»
Tidi apparve nella nebbia e lo abbracciò. «Grazie a Dio, sei sano e salvo.» Gli si aggrappò. L'umidità le scorreva sul volto e i capelli ricadevano in ciocche fradice e disordinate.
«È bello sapere che qualcuno ha sentito la mia mancanza.»
Tidi si scostò. «Mancanza è dir poco. L'ammiraglio e io stavamo per ammattire.»
«Parli per lei, signorina Royal», sbottò Sandecker in tono severo.
«Non è riuscito a imbrogliarmi neppure per un secondo, ammiraglio. Era preoccupato a morte», s'inalberò Tidi.
«Diciamo che ero un po' impensierito», la corresse Sandecker. «Quando uno dei miei uomini si fa ammazzare, la prendo sempre come un'offesa personale.» Girò lo sguardo verso Pitt. «Ha trovato qualcosa di valore?»
«Due cadaveri e poco più. Qualcuno si è dato parecchio da fare per eliminare tutto ciò che potrebbe portare all'identificazione dell'aereo. Ogni numero di serie su ogni pezzo dell'equipaggiamento era stato cancellato prima dell'incidente. Gli unici segni erano due lettere graffite sull'ammortizzatore idraulico del carrello anteriore.» Pitt accettò con gratitudine un telo di spugna dalle mani di Tidi. «E ho mandato su le cassette. Le ha recuperate?»
«Non è stato facile», rispose Sandecker. «Sono venute a galla a una dozzina di metri di distanza. Dopo venti tentativi, sono riuscito ad agganciarle e a ripescarle... anche se erano anni che non usavo una pertica per questo scopo.»
«Le ha aperte?» chiese Pitt.
«Sì. Sono modelli in miniatura di edifici... sul genere di case per le bambole.»
Pitt si raddrizzò. «Case per le bambole? Vuol dire modellini architettonici tridimensionali?»
«Li chiami come preferisce.» Sandecker s'interruppe per gettare in mare un mozzicone di sigaro. «Un lavoro ammirevole. Ogni struttura è realizzata con grande ricchezza di particolari. E ognuna si può dividere nei vari piani per studiare gli interni.»
«Diamo un'occhiata.»
«Le abbiamo portate nella cambusa», spiegò Sandecker. «È un posto adatto per farle mettere addosso indumenti asciutti e offrirle una tazza di caffè bollente.»
Tidi si era cambiata di nuovo: aveva rimesso la camicetta e i pantaloni. Voltò pudicamente la schiena mentre Pitt finiva di togliersi la muta e indossava la pittoresca tenuta variopinta.
Pitt sorrise mentre lei trafficava sui fornelli. «Hai tenuto in caldo i miei vestiti?» le chiese.
«I vestiti da gay?» Tidi si voltò a guardarlo mentre un lieve rossore le coloriva le guance. «Vuoi scherzare? Sei alto almeno venti centimetri più di me, e più pesante di una trentina di chili. Ci nuotavo dentro, in quei maledetti abiti. Mi sembrava di avere addosso una tenda. L'aria fredda saliva lungo le gambe e usciva dallo scollo e dalle maniche come un uragano.»
«Spero sinceramente che questo non abbia causato danni gravi alle tue parti vitali.»
«Se alludi alla mia futura vita sessuale, temo che sia successo il peggio.»
«Mi dispiace moltissimo, signorina Royal», commentò Sandecker in tono poco convincente. Mise le cassette sul tavolo e tolse i coperchi. «Bene, ecco qui, inclusi mobili e tendaggi.»
Pitt guardò nella prima cassetta. «Si direbbe che l'acqua non li ha rovinati.»
«Le cassette erano impermeabili», spiegò Sandecker. «E imballate così bene che, nonostante l'incidente, sono rimaste intatte.»
Sostenere che i modelli erano capolavori di miniaturizzazione sarebbe stato eccedere per difetto. L'ammiraglio aveva ragione. I dettagli erano sbalorditivi. Ogni mattone, ogni vetro delle finestre era esatto per scala e collocazione. Pitt rimosse il tetto. Aveva visto altre volte modellini nei musei: mai perfetti come quelli, però. Non era stato trascurato nulla. I quadri appesi alle pareti erano sorprendenti per colore e disegno. Le stoffe che rivestivano i salotti sfoggiavano minuscoli fregi stampati. I telefoni sulle scrivanie avevano cornette mobili, ed erano collegati a fili che finivano nei muri. Nei bagni c'erano persino rotoli di carta igienica che si potevano svolgere. Il primo modellino consisteva di quattro piani e di una cantina. Pitt li rimosse uno alla volta, studiò con attenzione il contenuto e li rimise a posto. Poi esaminò il secondo modello.
«Questo lo conosco», mormorò.
Sandecker alzò gli occhi. «È sicuro?»
«Sicurissimo. È rosa. Non è facile dimenticare una struttura di marmo rosa. Circa sei anni fa sono entrato fra quelle mura. Mio padre era impegnato in una missione esplorativa per conto del presidente, ed era in riunione con i ministri delle Finanze dei governi latinoamericani. Io avevo preso una licenza di trenta giorni per fargli da aiutante e da pilota durante il viaggio. Sì, la ricordo molto bene, e ricordo specialmente quella segretaria esotica dagli occhi neri...»
«Ci risparmi le sue scappatelle erotiche», l'interruppe spazientito l'ammiraglio. «Dove si trova?»
«A El Salvador. Questo modello è una perfetta riproduzione in scala della sede del parlamento della Repubblica Dominicana.» Pitt indicò il primo modellino. «A giudicare dallo stile anche l'altro rappresenta gli uffici legislativi di un Paese dell'America centrale o meridionale.»
«Magnifico», disse Sandecker con scarso entusiasmo. «Ci siamo imbattuti in un tizio che fa collezione di parlamenti in miniatura.»
«Tutto ciò non ci dice un bel nulla», commentò Pitt, sorbendo il caffè che Tidi gli aveva porto. «Solo che il jet nero svolgeva una doppia funzione.»
Sandecker lo guardò negli occhi. «Vuol dire che stava andando a consegnare questi modellini quando ha cambiato rotta per abbattere l'elicottero che trasportava Hunnewell e lei?»
«Esattamente. Con ogni probabilità uno dei pescherecci di Rondheim ha avvistato il nostro Ulysses che si avvicinava all'Islanda e ha avvertito via radio il jet perché ci aspettasse sulla costa.»
«Perché proprio Rondheim? Non vedo niente che lo colleghi a questa storia.»
«Quando il mare è in tempesta, va bene qualunque porto.» Pitt scrollò le spalle. «Lo ammetto, sto procedendo tentoni. Non sono del tutto convinto che Rondheim sia implicato in questa faccenda. È un po' come il maggiordomo di un vecchio film giallo. Tutti gli indizi, tutti i dubbi puntano verso di lui e ne fanno il principale sospetto. Ma alla fine si scopre che in realtà il maggiordomo è un poliziotto infiltrato e che il personaggio insospettabile è il vero colpevole.»
«Non riesco proprio a immaginare Rondheim come un poliziotto infiltrato...» borbottò Sandecker, andando a versarsi un'altra tazza di caffè. «Lo trovo così odioso... Mi auguro fervidamente che in un modo e nell'altro sia stato lui il mandante dell'uccisione di Fyrie e di Hunnewell e spero di riuscire a inchiodarlo.»
«Non sarà facile. Si trova in una posizione piuttosto inattaccabile.»
«Se volete il mio parere», intervenne Tidi, «voi due siete gelosi, perché Rondheim ha in pugno la signorina Fyrie.»
Pitt rise. «Per essere gelosi bisogna essere innamorati.»
Sandecker sogghignò. «Ecco che ha rivelato la sua lingua biforcuta, mia cara.»
«Non sto parlando per dispetto. Kirsti Fyrie mi è simpatica.»
«Immagino che ti stia simpatico anche Oskar Rondheim», disse Pitt.
«Non vorrei saperne di quel serpente neppure se fosse nell'Esercito della Salvezza», ribatté Tidi. «Ma bisogna dare al diavolo quel che è del diavolo, e quel serpente ha in pugno Kirsti e la Fyrie Limited.»
«Perché?» chiese Pitt. «Rispondi a questa domanda, Tidi. Com'è possibile che Kirsti lo ami se ha terrore di lui?»
Tidi scosse la testa. «Non lo so. Ma mi sembra ancora di vedere l'espressione di sofferenza nei suoi occhi quando Rondheim le ha stretto il collo.»
«Forse Kirsti è masochista e Rondheim è sadico», commentò Sandecker.
«Se Rondheim è il mandante della serie spaventosa di omicidi, dovete portare a conoscenza delle autorità tutto ciò che sapete», disse Tidi in tono implorante. «Ma se insistete a spingervi troppo in là con questa storia, rischierete di farvi uccidere tutti e due.»
Pitt fece una smorfia triste. «È una vergogna, ammiraglio. La sua segretaria sottovaluta i due individui che più ammira.» Si rivolse a Tidi con aria di rimprovero. «Come puoi fare una cosa simile?»
Sandecker sospirò. «Di questi tempi è quasi impossibile trovare un dipendente leale.»
«Altro che lealtà!» Tidi li guardò come se fossero ammattiti entrambi. «Quale altra ragazza sarebbe disposta a farsi trascinare in capo al mondo a bordo di scomodissimi aerei militari, a congelare su vecchie barche puzzolenti nel bel mezzo dell'Atlantico settentrionale, e a lasciarsi tormentare dalle continue e sgradite attenzioni maschili per uno stipendio miserabile? Se questa non è lealtà, mi piacerebbe sapere che cosa lo è, secondo la vostra tipica, ingrata mentalità maschile.»
«Fesserie!» esclamò Sandecker. Le posò le mani sulle spalle e la fissò. «Mi creda, Tidi, apprezzo moltissimo la sua amicizia e le sue premure nei miei confronti, e sono certo che anche Dirk la pensa come me», le disse con trasporto. «Ma lei deve capire: un mio caro amico e tre dei miei uomini sono stati assassinati, e Dirk ha rischiato di morire. Non sono il tipo che si nasconde sotto il materasso e chiama la polizia. Per Dio, questa situazione schifosa non l'abbiamo certo determinata noi. E quando scopriremo chi ne è responsabile, e soltanto allora, mi farò da parte e lascerò che i tutori della legge e dell'ordine concludano l'operazione. È d'accordo con me?»
L'espressione di stupore per quell'improvviso slancio d'affetto da parte di Sandecker sparì a poco a poco dal viso di Tidi. I suoi occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. Appoggiò la testa contro il petto dell'ammiraglio. «Mi sento così stupida», mormorò. «Parlo troppo. La prossima volta che mi capita, per favore, mi tappi la bocca.»
«Ci può contare», disse Sandecker nel tono più gentile che Pitt gli avesse mai sentito usare. Tenne abbracciata Tidi per un altro minuto prima di lasciarla. «Bene, salpiamo l'ancora e torniamo a Reykjavik», annunciò poi con il solito tono stridulo. «Vorrei tanto bere un bel toddy bollente.»
All'improvviso Pitt s'irrigidì, alzò una mano per imporre il silenzio, si accostò alla soglia della timoniera e rimase in ascolto. Era un suono molto debole, ma c'era. Giungeva attraverso la coltre di nebbia come un rombo costante: il suono di un motore al massimo dei giri.
11.
«Lo sente, ammiraglio?»
«Lo sento.» Sandecker era alle spalle di Pitt. «È a cinque chilometri, e si avvicina velocemente.» Si concentrò per qualche istante. «È proprio davanti a noi.»
Pitt annuì. «E viene nella nostra direzione.» Guardò nella nebbia senza vedere nulla. «È strano, sembra quasi il rumore del motore di un aereo. Devo avere il radar. Un timoniere, per quanto stupido, non filerebbe a quella velocità con una nebbia del genere.»
«Allora sanno che siamo qui», mormorò Tidi, come se qualcuno in agguato oltre il parapetto potesse ascoltarla.
«Sì, sanno che siamo qui», ammise Pitt. «Potrei sbagliarmi, ma credo proprio che vogliano vedere che cosa facciamo. Uno capitato per caso da queste parti avrebbe girato al largo da noi nel momento in cui il nostro blip fosse apparso sul suo schermo. Questi sono in cerca di guai. E io propongo di farli divertire un po'.»
«Come tre conigli che aspettano di giocare con un branco di lupi», ribatté Sandecker. «Saranno più numerosi di noi nella misura di dieci a uno e...» soggiunse abbassando la voce, «senza dubbio armati fino ai denti. Ma possiamo contare sugli Sterling. Quando saremo in movimento, i nostri visitatori avranno le stesse probabilità di agguantarci di un cocker lanciato all'inseguimento di un levriero in calore.»
«Non ci conti troppo, ammiraglio. Se sanno che siamo qui, sanno anche quale barca abbiamo e che velocità può raggiungere. Per poter sperare di abbordarci devono avere un mezzo più veloce del Grimsi. E credo che l'abbiano.»
«Un aliscafo?» chiese Sandecker.
«Esattamente», rispose Pitt. «Il che significa che la loro velocità massima può essere fra i quarantacinque e i sessanta nodi.»
«Non va bene per niente», borbottò Sandecker.
«Ma non va neppure tanto male», replicò Pitt. «Abbiamo almeno due vantaggi dalla nostra parte.» E spiegò in fretta il suo piano. Tidi, seduta su una panca nella timoniera, si sentì agghiacciare. Sapeva che, sotto il trucco, la sua faccia era diventata pallida come cera. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Incominciò a tremare e la sua voce diventò malferma.
«Non... non è possibile che tu stia... parlando sul serio.»
«Se non facessimo così», disse Pitt, «ci troveremmo in un mare di guai.» S'interruppe per guardare l'espressione stordita del viso di Tidi e le mani che stropicciavano nervosamente la camicetta.
«Ma è un omicidio a sangue freddo.» Per un momento la bocca di Tidi si mosse senza che ne uscisse alcun suono. Poi la donna continuò con uno sforzo: «Non puoi ammazzare qualcuno senza un preavviso... Uomini innocenti che neppure conosci»!
«Basta così», scattò bruscamente Sandecker. «Non abbiamo tempo per spiegare i fatti della vita a una ragazzina spaventata.» Guardò Tidi con gli occhi colmi di comprensione, ma la sua voce era imperiosa. «Per favore, vada sottocoperta e si nasconda dietro qualcosa che possa ripararla dalle pallottole.» Poi si rivolse a Pitt. «Usi la scure antincendio e tagli la cima dell'ancora. Mi dia un segnale quando vuole la massima potenza.»
Pitt guidò Tidi giù per la scaletta della cambusa. «Non bisogna mai discutere con il comandante di una nave.» E le allungò una pacca sul didietro. «E non agitarti. Se gli indigeni saranno amichevoli, non avrai motivo di preoccuparti.»
Stava appunto brandendo la scure quando gli Sterling si accesero con un rombo. «Per fortuna non abbiamo versato una cauzione per gli eventuali danni», mormorò fra sé mentre la scure tranciava la cima e penetrava nel parapetto di legno facendo schizzare in mare una grossa scheggia e mandando l'ancora sul fondo di sabbia nera.
L'imbarcazione invisibile ormai era vicinissima, e il rombo del motore si smorzò in una pulsazione sorda quando il timoniere tirò indietro le manette per prepararsi ad affiancare il Grimsi. Dal punto in cui stava sdraiato a prua, stringendo il manico della scure, Pitt sentì lo scafo sguazzare nelle onde quando la riduzione della velocità fece abbassare sull'acqua l'aliscafo. Si sollevò, guardingo, socchiuse le palpebre e tentò invano di scrutare nella nebbia fitta in cerca di un qualche movimento. L'area intorno alla poppa era immersa nella semioscurità. La visibilità non era superiore ai sei metri.
Poi una massa indistinta apparve lentamente e mostrò il lato sinistro della prua. Pitt scorse a stento alcune forme vaghe che stavano sul ponte anteriore, e, dietro di loro, un chiarore che doveva provenire dalla timoniera. Era come una nave fantasma: i membri dell'equipaggio apparivano come spettri. La grande forma grigia ingrandì minacciosamente e torreggiò sopra il Grimsi. Era lunga una trentina di metri o anche più, calcolò Pitt. Ormai vedeva chiaramente gli altri uomini. Stavano appoggiati ai parapetti, in silenzio, tesi come se si preparassero a spiccare un balzo. I fucili d'assalto nelle loro mani dicevano a Pitt tutto ciò che voleva sapere.
Con calma e freddezza, a non più di due metri e mezzo dalle canne dei fucili sulla nave fantasma, Pitt compì tre movimenti con tanta rapidità da farli sembrare quasi simultanei. Avventò a lato la lama della scure e batté di piatto su una maniglia d'argano: era il segnale per Sandecker. Poi, con lo stesso guizzo, lanciò la scure in aria e vide la punta della lama piantarsi nel petto di un uomo che stava per balzare sul ponte del Grimsi. Un urlo tremendo uscì dalla gola dell'uomo, mentre cadeva contro il parapetto insieme alla scure. Rimase così per un istante, con le unghie esangui di una mano contratta sulla modanatura lignea. Poi cadde nell'acqua grigia. Il mare non si era ancora richiuso sopra la testa dell'uomo che Pitt si era già lanciato sull'assito della tolda e il Grimsi era schizzato via come un impala spaventato, inseguito da una grandinata di pallottole che spazzavano il ponte e penetravano nella timoniera prima che la vecchia imbarcazione si dileguasse nella nebbia.
Pitt strisciò verso poppa e s'infilò oltre la soglia della timoniera. Il pavimento era costellato da frammenti di vetro e di legno.
«Qualcuno è stato colpito?» chiese Sandecker. La voce si sentiva appena nel fragore dei motori Sterling.
«Non mi hanno beccato. E lei?»
«Quei delinquenti miravano al di sopra della mia testa. Aggiunga il fatto che sono capace di ridurmi a meno di un metro d'altezza, e avrà una combinazione fortunata.» L'ammiraglio si voltò e aggiunse, con aria pensierosa: «Mi è sembrato di sentire un urlo prima che scoppiasse il finimondo».
Pitt sorrise maliziosamente. «Non sono capace di raccontar bugie. È stata opera mia e della mia scure.»
Sandecker scosse la testa. «Sono in Marina da trent'anni, e questa è la prima volta che un mio equipaggio ha dovuto respingere un attacco di pirati.»
«Il problema, adesso, è evitare che l'abbordaggio si ripeta.»
«Non sarà facile. Stiamo correndo alla cieca. Il loro maledetto radar capta ogni nostra mossa, e ciò che dobbiamo temere di più è uno speronamento. Alla velocità da dieci a venti nodi, loro sono i favoriti. Non posso evitare l'inevitabile. Se il loro timoniere sa il fatto suo, si servirà della velocità superiore per superarci, tagliare a novanta gradi e investirci a mezza nave.»
Pitt rifletté un momento. «Speriamo che il loro timoniere non sia mancino.»
Sandecker aggrottò la fronte senza capire. «Non riesco a seguirla.»
«I mancini sono una minoranza, ed è probabile che il timoniere non lo sia. Quando l'aliscafo comincerà ad avvicinarsi di nuovo a noi - e in questo preciso momento la sua prua, con ogni probabilità, è a meno di quattrocento metri dietro di noi -, il timoniere tenderà istintivamente a virare verso destra prima di tagliare per speronarci. E questo ci darà l'occasione di sfruttare uno dei nostri due punti di vantaggio.»
Sandecker lo fissò. «A me non ne viene in mente neppure uno, figurarsi due.»
«Un aliscafo dipende dalla velocità elevata per sostenere il proprio peso. Le alette viaggiano nell'acqua come le ali di un aereo viaggiano nell'aria. La dote principale è la velocità, ma il limite più grave è la manovrabilità. Per dirla in poche parole, un aliscafo si trova in grosse difficoltà quando deve virare.»
«E noi invece no. È così?» chiese l'ammiraglio.
«Il Grimsi è in grado di descrivere due cerchi all'interno di uno dei loro.»
Sandecker staccò le mani dai raggi della ruota del timone e fletté le dita. «Mi sembra magnifico, però non sappiamo quando inizieranno il loro arco.»
Pitt sospirò. «Dobbiamo ascoltare.»
L'ammiraglio continuò a fissarlo. «Vuol dire che dobbiamo spegnere i motori?»
Pitt annuì.
Quando posò di nuovo le mani sulla ruota, Sandecker aveva le nocche delle dita bianche e la bocca contratta. «Quel che propone è assai rischioso. Basta che gli Sterling si ribellino al pulsante dell'avviamento... e noi diventiamo un bersaglio immobile.» Indicò la cambusa con un cenno. «Non pensa a Tidi?»
«Penso a noi tutti. Sia che restiamo fermi sia che scappiamo, è molto probabile che ci freghino comunque. Sarà come puntare l'ultimo dollaro alla roulette... Ma, per quanto remota, è pur sempre una possibilità.»
Sandecker lo scrutò con attenzione e notò che Pitt aveva un'espressione decisa.
«Ha accennato a due vantaggi», lo incalzò.
«L'imprevisto», spiegò con calma Pitt. «Noi sappiamo che cosa hanno intenzione di fare. Avranno il radar, ma non possono leggere nelle nostre menti. E questo è il nostro secondo vantaggio, il più importante... la mossa a sorpresa.»
Pitt guardò l'orologio subacqueo. Era l'una e mezzo del pomeriggio, quindi era ancora presto. Sandecker aveva spento i motori, e Pitt doveva fare uno sforzo per mantenersi vigile... il silenzio improvviso e la calma della nebbia cominciavano a smussare la sua attenzione. In alto, il sole era un disco bianco sbiadito che si ravvivava e si affievoliva via via che gli strati irregolari di nebbia si spostavano. Pitt respirava lentamente per impedire che il freddo e l'umidità gli penetrassero nei polmoni. Ogni tanto rabbrividiva negli indumenti bagnati dalle goccioline di umidità che si posavano sulla stoffa. Stava seduto sul boccaporto di prua: attese fino a quando le sue orecchie non sentirono più il rombo degli Sterling e captarono invece il suono dei motori dell'aliscafo. Non dovette aspettare a lungo. Si sintonizzò sul rumore regolare dell'aliscafo mentre le esplosioni nei collettori dei tubi di scarico crescevano di volume.
Doveva andare tutto alla perfezione: non ci sarebbe stata una seconda occasione. Probabilmente in quell'istante il radarista dell'aliscafo stava reagendo al fatto che il blip sul suo schermo aveva diminuito la velocità e si era fermato. Ne avrebbe informato il comandante, sarebbe stata presa una decisione... e non sarebbe stato troppo tardi per cambiare rotta. La maggiore velocità dell'aliscafo gli avrebbe consentito di portarsi con la prua praticamente addosso al Grimsi.
Pitt controllò per la decima volta i contenitori che gli stavano accanto in una fila ordinata. Pare davvero l'arsenale più misero che mai fosse stato messo insieme, pensò. Uno dei contenitori era un grosso barattolo di vetro da quattro litri che Tidi aveva trovato in cambusa. Gli altri tre erano taniche ammaccate e arrugginite che Pitt aveva scovato in un ripostiglio a poppa della sala macchine. A parte il contenuto e gli stoppini di tela che sporgevano dalle aperture nel tappo e dai fori della parte superiore delle taniche, i quattro recipienti avevano ben poco in comune.
Ormai l'aliscafo era vicino... molto vicino. Pitt si voltò verso la timoniera e gridò: «Via!» Poi appiccò il fuoco con l'accendino allo stoppino del barattolo e si puntellò per affrontare l'improvvisa accelerazione che - se lo augurò con tutto il cuore - era imminente.
Sandecker premette il pulsante dell'avviamento. Gli Sterling da 420 cavalli tossirono una volta, due volte, poi incominciarono a girare, rombando. L'ammiraglio spostò bruscamente la ruota del timone e spinse in avanti le manette. Il Grimsi partì sull'acqua come un cavallo da corsa con una freccia piantata nel didietro. Sandecker continuò a stringere la ruota, anche se quasi si aspettava di andare a sbattere di prua contro l'avversario. Poi, quando un raggio volò via dalla ruota e urtò contro la bussola, si rese conto delle pallottole che stavano colpendo la timoniera. Non vedeva ancora nulla, ma sapeva che l'equipaggio dell'aliscafo sparava alla cieca nella nebbia, guidato unicamente dai comandi del radarista.
Per Pitt, la tensione era insostenibile. Girava lo sguardo dalla muraglia di nebbia davanti a lui al barattolo che teneva in mano. La fiamma dello stoppino si avvicinava pericolosamente al collo del recipiente e alla benzina contenuta nel vetro. Cinque secondi, non di più, poi avrebbe dovuto lanciare il barattolo fuori bordo. Incominciò a contare. Cinque. Sei, sette. Piegò il braccio. Otto. Poi l'aliscafo emerse di un balzo dalla nebbia lungo una rotta opposta, e passò a non più di tre metri dal parapetto del Grimsi. Pitt scagliò il barattolo.
L'istante che seguì gli rimase impresso nella memoria per il resto dei suoi giorni. L'immagine spaventosa di un uomo alto e biondo con indosso un giaccone di pelle. Un uomo che stringeva il parapetto di legno e, inorridito e affascinato, seguiva con lo sguardo l'oggetto letale che volava verso di lui nell'aria umida. Poi il barattolo andò in pezzi contro la paratia vicina e l'uomo sparì in una vampata accecante. Pitt non vide altro. I due natanti si erano incrociati e l'aliscafo era sparito.
Non ebbe tempo di riflettere. Accese in fretta lo stoppino di una delle taniche, mentre Sandecker faceva virare il Grimsi verso sinistra in un arco di centottanta gradi e lo lanciava nella scia dell'aliscafo. Quest'ultimo aveva rallentato, e si scorgeva un chiarore pulsante giallorosso attraverso la nebbia grigia. L'ammiraglio puntò in quella direzione. Adesso stava eretto come una spada. Una cosa era certa: chi aveva sparato al Grimsi trenta secondi prima non era certo rimasto su un ponte incendiato nella speranza di crivellare una vecchia bettolina. E non era possibile che l'aliscafo speronasse qualcosa prima di aver spento l'incendio.
«Gliene tiri un altro!» gridò a Pitt attraverso il finestrino sfondato della timoniera. «Gliela faccia vedere, a quei bastardi!»
Pitt non rispose. Ebbe appena il tempo di scagliare la tanica prima che Sandecker girasse la ruota e tagliasse davanti alla prua dell'aliscafo per un terzo attacco. Si avventarono altre due volte uscendo dalla nebbia, e altre due volte Pitt tirò le taniche ammaccate fino a esaurire il suo arsenale.
Poi il Grimsi fu investito da una tonante onda d'urto che gettò Pitt sul ponte e fece volar via i frammenti di vetro rimasti nella finestra attorno a Sandecker. L'aliscafo era esploso in un boato vulcanico di fuoco e di detriti fiammeggianti. In un istante si era trasformato da poppa a prua in un inferno.
Gli echi erano riverberati dalle scogliere della riva e si erano dispersi quando Pitt si rialzò in piedi, barcollando. Guardò incredulo l'aliscafo. Quello che era stato un natante progettato in modo superlativo era ormai un misero relitto che bruciava furiosamente. Pitt raggiunse vacillando la timoniera, con il senso dell'equilibrio temporaneamente menomato dal rimbombo negli orecchi, mentre Sandecker riduceva la velocità del Grimsi e passava a fianco del relitto in fiamme.
«Vede qualche superstite?» chiese Sandecker. Su una guancia aveva un sottile taglio sanguinante.
Pitt scosse la testa. «Sono spacciati», rispose, impassibile. «Se anche qualche membro dell'equipaggio è riuscito a finire in acqua vivo, morirebbe di freddo. In questo nebbione, sarebbe impossibile trovarlo.»
Tidi entrò nella timoniera premendosi con la mano un livido violaceo sulla fronte. Aveva un'espressione sbalordita. «Che cosa... Che cos'è successo?» riuscì a balbettare.
«Non sono stati i serbatoi del carburante», disse Sandecker. «Di questo sono sicuro.»
«Anch'io», confermò Pitt. «Dovevano avere sul ponte una certa quantità di esplosivo che si è trovato sulla traiettoria della mia ultima bomba incendiaria.»
«Molto imprudenti.» La voce di Sandecker era quasi allegra. «La mossa a sorpresa, aveva detto, e aveva ragione. A quegli stupidi bastardi non è mai venuto in mente che, messi con le spalle al muro, i topi si sarebbero battuti come tigri.»
«Se non altro, abbiamo ridotto lo scarto.» Pitt avrebbe dovuto sentirsi nauseato, ma la coscienza non gli rimordeva. Vendetta... Sandecker e lui avevano agito per istinto di sopravvivenza e per vendetta. Avevano versato un anticipo per vendicare Hunnewell e gli altri, ma il saldo era ancora lontano. È davvero strano, pensò Pitt: com'è facile uccidere uomini che non conosci, e della cui vita ignori tutto. «Temo che il suo rispetto per la vita le causerà gravi problemi», aveva detto il dottor Jonsson. «La supplico, amico mio, non esiti quando verrà il momento.» Pitt provava una rabbiosa soddisfazione. Il momento era venuto, e lui non aveva esitato. Non aveva avuto neppure il tempo di pensare alle sofferenze e alla morte che stava infliggendo. Si chiese se la capacità inconscia di uccidere un estraneo era il fattore che rendeva tollerabili le guerre agli occhi della razza umana.
La voce sommessa di Tidi spezzò i suoi pensieri. «Sono morti. Sono tutti morti.» Cominciò a singhiozzare con le mani premute contro il viso e il corpo scosso da tremiti. «Li hai assassinati, hai dato loro fuoco...»
«Perdonami, mia cara», disse freddamente Pitt. «Ma prova ad aprire gli occhi e guardati intorno. I fori nel legno non sono stati fatti dai picchi. Per citare una frase tipica di tutti i film western... 'Avevano estratto la pistola prima di noi, e non avevamo scelta, sceriffo, o noi o loro.' Hai letto male la sceneggiatura. Noi siamo i buoni, e quelli avevano intenzione di assassinarci a sangue freddo.»
Tidi alzò lo sguardo verso il volto magro e deciso di Pitt, vide la comprensione negli occhi verdi e fu presa dalla vergogna. «Vi avevo avvertiti. Vi avevo detto di imbavagliarmi la prima volta che fossi diventata isterica e avessi cominciato a parlare troppo.»
Pitt sostenne il suo sguardo. «L'ammiraglio e io ti abbiamo sopportata fino a ora. Purché ci rifornisca di caffè, non presenteremo reclami alla direzione.»
Tidi si alzò in punta di piedi e scoccò un bacio sulla guancia di Pitt. Aveva il viso bagnato dalle lacrime e dalla nebbia. «I due caffè stanno arrivando», annunciò, asciugandosi gli occhi.
«E vai anche a sciacquarti la faccia», concluse lui con un gran sorriso, «Il trucco degli occhi ti sta colando fin quasi al mento.»
Lei si voltò, docile, e scese nella cambusa. Pitt guardò Sandecker e ammiccò. L'ammiraglio annuì con comprensione mascolina e si voltò di nuovo verso l'aliscafo che bruciava.
Stava affondando di poppa, molto rapidamente. Il mare superò la sovrastruttura e soffocò le fiamme, sibilò in una nuvola di vapore e l'aliscafo scomparve. In pochi secondi rimase soltanto un tumulto di bolle oleose e di frammenti irriconoscibili in una schiuma sporca. Era come se il natante fosse stato soltanto un incubo nebuloso, svanito con lo spuntare del giorno.
Con uno sforzo di volontà, Pitt assunse un atteggiamento pragmatico. «Non ha senso restare qui. Propongo di tornare a Reykjavik alla massima velocità possibile con questa nebbia. Più in fretta ci allontaniamo da qui prima che il tempo si schiarisca, e meglio sarà per tutti gli interessati.»
Sandecker diede un'occhiata all'orologio. Era l'una e quarantacinque. L'intera azione era durata soltanto un quarto d'ora. «L'idea di un toddy bollente mi attrae sempre di più», disse. «Resti a tener d'occhio lo scandaglio acustico. Quando il fondo salirà al di sopra dei trenta metri, sapremo che ci avviciniamo troppo alla riva.»
Dopo tre ore, trentadue chilometri a sud-ovest di Reykjavik, doppiarono la punta della penisola di Keflavik e uscirono dalla nebbia. Il sole apparentemente eterno dell'Islanda li accolse con il suo splendore abbagliante. Un jet della Pan American decollò dalla pista dell'aeroporto internazionale, li sorvolò, brillando nella luce solare prima di descrivere un ampio cerchio e di avviarsi verso l'est e Londra. Pitt lo guardò malinconicamente, desiderando di essere ai comandi a inseguire le nuvole, anziché stare sul ponte di una vecchia bettolina beccheggiante. I suoi pensieri furono interrotti da Sandecker.
«Non so dirle quanto mi dispiace restituire la barca a Rondheim in queste condizioni.» Un sorriso subdolo e diabolico gli spuntò sulle labbra.
«La sua sollecitudine è commovente», ribatté Pitt in tono sarcastico.
«Ma, accidenti, Rondheim può permetterselo.» L'ammiraglio staccò una mano dalla ruota per indicare la timoniera sfasciata. «Un po' di stucco da legno, una mano di tinta, qualche vetro sostituito e tornerà come nuova.»
«Forse Rondheim può ridere dei danni al Grimsi, ma non credo che farà i salti di gioia quando apprenderà che fine hanno fatto l'aliscafo e il suo equipaggio.»
Sandecker si girò verso Pitt. «Secondo lei, in che modo si potrebbe collegare Rondheim all'aliscafo?»
«Il collegamento è la barca su cui stiamo.»
«Dovrebbe spiegarsi un po' meglio», disse spazientito l'ammiraglio.
Pitt sedette su un armadietto che conteneva i giubbotti di salvataggio e accese una sigaretta. «Anche i piani più astuti possono fallire. Quello di Rondheim era buono, ma aveva trascurato la remotissima possibilità che prendessimo noi la sua barca. Ci siamo chiesti perché mai il Grimsi era attraccato al molo della Fyrie... Be', era lì per seguirci. Se avessimo scelto quel lussuoso cabinato, i suoi si sarebbero presentati al molo e ci avrebbero seguiti con questo peschereccio anonimo per tenerci d'occhio. Se ci fossimo comportati in modo sospetto, una volta in mare aperto, non avremmo avuto speranze di seminarli. Probabilmente la velocità massima del cruiser è intorno ai venti nodi, e sappiamo che quella del Grimsi è più vicina ai quaranta.»